E’ uno dei titoli del momento su Netflix: il documentario getta ombre lunghe sulla pesca commerciale e i suoi esiti sull’ecosistema marino

“Seaspiracy” è un documentario distribuito da Netflix e prodotto da Kip Anderson, lo stesso che nel 2014 girò da regista “Cowspiracy”: la matrice ambientalista è la stessa e soprattutto è la stessa la voglia di far capire al consumatore finale cosa effettivamente c’è nel suo piatto quando si mette a tavola. Soprattutto in termini di sostenibilità: perchè in effetti, ci spiega Seaspiracy, una pesca sostenibile non esiste.

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La pesca commerciale infatti ha un enorme impatto sull’ecosistema marino, che è anche l’ambiente che ci tiene tutti in vita: dal mare arriva infatti l’84% dell’ossigeno che respiriamo.

Una delle tragedie collegate alla pesca commerciale è la cattura accidentale di delfini e squali: i dati parlano di 50 milioni di squali catturati accidentalmente ogni anno. Che fine fanno queste creature finite nelle reti umane? Spesso vengono ributtate in acqua, ma raramente sopravvivono, a causa del trauma subito e della mancanza di ossigeno. Più del 40% del pescato mondiale resta inutilizzato, perchè è composto da specie diverse da quelle che si volevano effettivamente pescare. Nel documentario si dice chiaramente che il consumatore non può fidarsi nemmeno delle aziende che sostengono di pescare in modo sicuro per i delfini:  il responsabile dell’organizzazione che certifica il pesce come “dolphin safe“, pescato senza rischio per i delfini, ha ammesso che è impossibile esserne certi.

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Pesce d’allevamento: meno traumatico per l’ecosistema marino? A quanto pare no, perchè i pesci allevati vengono nutriti con pesce catturato in mare, quindi il problema resta intatto.

Dietro alla pesca c’è un sistema terribile di sfruttamento delle risorse umane: in Thailandia i pescatori di gamberetti vengono sfruttati al limite delle loro capacità di sopportazione, picchiati e minacciati.

La plastica è un altro grave problema collegato alla pesca: negli oceani c’è troppa plastica, che sta letteralmente soffocando gli animali e che finisce anche nel nostro piatto, con conseguenze drammatiche sulla salute (tra le altre cose si è registrato anche un restringimento del pene umano). Una grande percentuale di quella plastica arriva proprio dalla pesca: si stima che il 46% del Great Pacific Garbage Patch, l’isola di rifiuti in plastica accumulata a nord dell’Oceano Pacifico, sia composta proprio da reti e altri materiali da pesca.

In definitiva, secondo il regista Ali Tabrizi, la pesca non è sostenibile: nel mondo si pesca l’incredibile cifra di 5 milioni di pesci ogni minuto e solo l’1% dei mari del pianeta sono protetti.