La crisi climatica mette sempre più in pericolo i ghiacciai alpini. Il riscaldamento climatico determina sulle Alpi italiane pesanti e molteplici effetti ambientali, tra i quali la perdita di neve e ghiaccio e la degradazione del permafrost. Si stima che la superficie glacializzata dell’arco alpino si sia ridotta del 60% negli ultimi 150 anni. La deglaciazione colpisce soprattutto le Alpi Orientali dove, stando agli ultimi dati diffusi dal Comitato Glaciologico Italiano (Cgi), nello stesso intervallo di tempo i ghiacciai delle Alpi Giulie hanno visto ridursi il proprio volume del 96% e la propria area dell’82%.  

Situazione non buona anche per i ghiacciai delle Alpi Occidentali e Centrali: sulle prime, sono praticamente scomparsi i ghiacciai delle Alpi Marittime e vi sono molti ghiacciai in cui l’arretramento della fronte ha superato le decine di metri all’anno; sulle Alpi Centrali preoccupa lo stato di salute del grande ghiacciaio dei Forni che, con un’estensione areale di circa 11 kmq, è il più esteso in Italia dopo quello dell’Adamello. Il ghiacciaio dei Forni mostra oggi una fronte appiattita e coperta di detrito, crepacciata, con fenomeni di collasso e cavità in ghiaccio.  

Ma i ghiacciai si dimostrano anche sensibili testimoni della qualità dell’aria: preoccupa la presenza ad alta quota di ‘black carbon’, polveri derivanti dall’inquinamento atmosferico di origine antropica proveniente da incendi e da inquinanti che arrivano dalla pianura. Questa componente fa sì che il ghiacciaio fonda più rapidamente. La presenza di black carbon, di tracce di microplastiche e di vari inquinanti, come su tutti i ghiacciai del pianeta, è un altro segnale dell’invadenza dell’impatto antropico sulla terra. È quanto emerge dal report finale “Carovana dei ghiacciai” realizzato da Legambiente in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano (Cgi) presentato oggi in vista della giornata internazionale della montagna. 

Il lavoro instancabile di ricercatori e operatori del Comitato Glaciologico Italiano ha permesso di registrare, da fine 800, la memoria dei segnali di ritiro glaciale nelle Alpi, producendo serie storiche di dati indispensabili per avviare analisi retrospettive e interpretare gli scenari futuri. Per la catena alpina, questi dati parlano chiaro: dal 1850 ad oggi, mentre la temperatura media annuale aumentava di 2°C (il doppio della media globale), le aree coperte dai ghiacciai alpini si riducevano di oltre il 60%. Le prospettive future si ricavano dal confronto coi dati più recenti: dalla fine del decennio 1980 la contrazione dei ghiacciai si è notevolmente accelerata e i delicati equilibri degli ambienti glaciali d’alta quota sono sconvolti dal progredire del riscaldamento climatico.  

Nelle Alpi Orientali preoccupa la situazione del ghiacciaio della Marmolada che in base agli ultimi dati raccolti dai ricercatori potrebbe scomparire nell’arco di 15-20 anni. Nel settore delle Alpi centrali, monitorato con il contributo del Servizio Glaciologico Lombardo, procede incessante da numerosi anni, soprattutto sui ghiacciai lombardi, la contrazione delle fronti, particolarmente marcata nel 2018. La contrazione dei ghiacciai lombardi è sottolineata da numerosi apparati che sono scarsamente alimentati o addirittura quasi completamente privi di neve residua alla fine della stagione di ablazione. Tra i gruppi montuosi più esposti vi sono il Gruppo Ortles – Cevedale, il Gruppo Badile – Disgrazia e il Gruppo Bernina e anche il Gruppo Adamello.  

Nell’ultima campagna del Comitato Glaciologico Italiano, quella del 2019, il Gruppo Disgrazia registra i ritiri più consistenti, con il ghiacciaio omonimo che ha perso 35 metri alla fronte e il Ghiacciaio della Ventina che è arretrato di 40 metri; nel Gruppo Bernina, il Ghiacciaio di Scerscen superiore ha perso 86 metri rispetto al 2017. Nelle Alpi occidentali sulla base dei censimenti più recenti, sono presenti circa 300 ghiacciai, che occupano una superficie complessiva di 160 kmq.  

In anni recenti, i ritiri frontali sono sovente valori a due cifre, ma in alcuni casi possono raggiungere le centinaia di metri (-335 m al Ghiacciaio del Gran Paradiso nel 2019). L’arretramento delle fronti, tuttavia, rappresenta solo in parte la drammatica perdita di massa glaciale documentata dai bilanci di massa effettuati su alcuni ghiacciai selezionati del settore: il Ghiacciaio del Grand Etrèt (Gran Paradiso) ha perso negli ultimi 20 anni quasi 20 metri di spessore. 

“Attraverso la Carovana dei ghiacciai – dichiara Marco Giardino, segretario del Comitato Glaciologico Italiano – abbiamo iniziato un’opera di comunicazione per trasformare queste evidenze scientifiche in un patrimonio di conoscenza condiviso con la società: infatti, solo attraverso una diffusa consapevolezza della dimensione del ritiro glaciale vi può essere una chiara percezione della gravità delle sue conseguenze. Passi indispensabili per giungere eventualmente alla messa in atto di adeguate misure di adattamento”. 

L’incontro di oggi è stata anche l’occasione per presentare 12 proposte per affrontare l’acuirsi dei cambiamenti climatici in montagna. Tra queste, approfondire le ricerche sulle variazioni dei ghiacciai e del permafrost; affrontare le conseguenze economiche del riscaldamento climatico come quelle sull’industria del turismo invernale, riconoscendo la necessità di convertire progressivamente quei modelli di sviluppo che espongono i territori alla continua incertezza stagionale; individuare opzioni di adattamento a breve e lungo termine partendo dall’esame di buone pratiche e misure già esistenti e promuovendo percorsi di pianificazione partecipata tra le popolazioni interessate per una governance integrata del territorio che consideri l’insieme delle risorse e dei rischi che lo contraddistinguono.  

Al Governo l’appello di approvare al più presto il Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e di mettere in campo politiche ambiziose sul clima con lo scopo di arrivare a emissioni nette pari a zero al 2040. “Un appello che rilanciamo nuovamente al Governo a pochi giorni dal quinto anniversario dalla firma degli Accordi di Parigi – dice Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Occorre mettere in campo misure e politiche ambiziose sul clima con lo scopo di arrivare a emissioni nette pari a zero al 2040, in coerenza con l’Accordo di Parigi, ed è urgente definire approfonditi piani di gestione ed adattamento, risultato di politiche e di investimenti che sappiano valorizzare il grande lavoro di studio che si sta producendo sulla montagna al fine di tradurlo in strategie concrete volte ad aumentare la resilienza delle popolazioni e del territorio”.