L’Ue non raggiungerà gli obiettivi che si è posta per il riciclaggio degli imballaggi di plastica per il 2025 e il 2030 (50% di riciclo degli imballaggi in plastica entro il 2025 e del 55% entro il 2030) a meno che i Paesi dell’Unione non invertano la rotta aumentando i tassi di recupero. A dirlo è un’analisi della Corte dei conti europea. E a stretto giro arriva la risposta di Legambiente: target raggiungibili, eccome, basta applicare le direttive Ue.  

Andiamo per ordine. Secondo Samo Jereb, membro della Corte dei conti europea e responsabile dell’analisi, “per raggiungere questi nuovi valori-obiettivo in materia di riciclaggio degli imballaggi di plastica, l’Ue deve invertire l’attuale situazione, nella quale le quantità incenerite sono maggiori di quelle riciclate. Si tratta di una sfida difficilissima. Facendo rinascere, a causa di preoccupazioni di ordine sanitario, le abitudini dell’usa e getta, la pandemia di Covid-19 dimostra che la plastica continuerà ad essere un pilastro delle nostre economie, ma anche una minaccia ambientale sempre più grave”. 

L’aggiornamento del quadro giuridico per il riciclaggio della plastica avvenuto nel 2018 – rileva l’analisi della Corte dei Conti Ue – riflette le accresciute ambizioni dell’Ue e potrebbe contribuire ad incrementare la capacità di riciclaggio. Tuttavia, l’entità della sfida che gli Stati membri affrontano non dovrebbe essere sottovalutata. Nuove e più precise norme in materia di comunicazione delle quantità riciclate, nonché un irrigidimento delle norme in materia di esportazione dei rifiuti di plastica, ridurranno il tasso di riciclaggio comunicato nell’UE. Secondo la Corte, dunque, affinché l’UE ottenga i risultati sperati in un periodo di soli 5-10 anni, è necessaria un’azione concertata. 

I soli imballaggi, come i vasetti di yogurt o le bottiglie d’acqua, costituiscono circa il 40% dell’utilizzo della plastica e oltre il 60% dei rifiuti di plastica generati nell’Ue. Si tratta inoltre del tipo di imballaggio con il più basso tasso di riciclaggio nell’Ue (di poco superiore al 40%). Per risolvere questo crescente problema dei rifiuti, la Commissione europea nel 2018 ha adottato la strategia per la plastica, che prevedeva tra l’altro la modifica della direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio del 1994 e il raddoppio del valore-obiettivo di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio di plastica, che passa così al 50 % entro il 2025 e persino al 55 % entro il 2030. Il raggiungimento di questi valori-obiettivo sarebbe un passo avanti significativo verso il conseguimento dei traguardi che l’UE si è posta in materia di economia circolare. 

Nell’analisi, la Corte dei Conti europea illustra però i quadri Ue per la gestione dei rifiuti di plastica nei settori automobilistico, elettronico, edile e agricolo che costituiscono, nel loro insieme, il 22% dei rifiuti di plastica generati nell’Ue. “Attualmente – scrive la Corte – esistono obiettivi giuridicamente vincolanti per il riciclaggio degli imballaggi di plastica, ma non ve ne sono per i rifiuti di plastica derivanti dai settori dell’edilizia e dell’agricoltura”. I settori dell’industria automobilistica e delle apparecchiature elettriche ed elettroniche sono invece disciplinati da una legislazione distinta, tesa a gestire i rifiuti che essi generano “nella quale mancano però obiettivi di riciclaggio specifici per la plastica”.  

Insomma, una questione complessa anche secondo il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, “troppo complessa per essere risolta con un’analisi della Corte dei Conti”, dice all’AdnKronos. Ma, aggiunge Ciafani, “se i Paesi membri fanno quello che l’Ue ha scritto nelle direttive sull’economia circolare, in cui si parla di ecodesign e massimizzazione del riciclo; se si riduce l’usa e getta e i nuovi manufatti vengono realizzati in plastiche riciclabili, allora gli obiettivi di riciclo previsti potranno essere tranquillamente raggiunti”. I Paesi Ue quindi devono seguire i pacchetti sull’economia circolare e la direttiva sulla plastica monouso (che va recepita entro luglio 2021): “lì la strada è chiara: l’usa e getta va combattuto e sostituire con il compostabile”, spiega il presidente di Legambiente.  

Anche su questo l’Ue non è tornata indietro ma ha rilanciato: chiuso l’accordo sul Recovery fund, “si è deciso di alimentarlo con nuove tassazioni coerenti con le decisione dell’Ue sul green deal, e quindi una nuova carbon tax europea, e coerenti con le direttive su economia circolare e plastica monouso, e quindi una nuova plastic tax. Se si mette in campo una tassazione ambientale che impone alle aziende di progettare i beni come previsto dalle direttive, non sarà un problema raggiungere quegli obiettivi”.  

C’è poi la questione dell’effetto Covid sulla percezione e l’utilizzo del mono uso. “In sei mesi sul fronte dell’uso e getta siamo tornati indietro culturalmente di 10 anni – dice il presidente di Legambiente – c’è questa falsa percezione che l’usa e getta riduca il rischio di contagio, cosa che è assolutamente falsa. Dipende da chi maneggia il manufatto: se l’operatore della ristorazione ha il Covid e maneggia un bicchiere di plastica o di vetro, il risultato è lo stesso. Quello che conta è l’igiene e il rispetto delle regole anti-Covid. Questo vale per piatti e bicchieri, per tutti gli oggetti inseriti nella direttiva sulla plastica monouso e vale per i nuovi rifiuti come le mascherine”. 

“Della plastica non si potrà mai fare a meno, della plastica monouso sì – conclude Ciafani – e su questo l’Ue è stata leader mondiale copiando la leadership mondiale della direttiva sulla plastica che è italiana”.