Il problema vero degli spostamenti nella Fase 2 non sarà quello del trasporto pubblico locale, ma quello della lunga percorrenza su aerei, treni e autobus. Con rischi concreti di sopravvivenza per le sue società. Paolo Beria, professore di Economia dei Trasporti e direttore del Laboratorio di politica dei trasporti al Politecnico di Milano, è scettico sulla possibilità di tenere a lungo vagoni e cabine con un solo viaggiatore al posto dei tre o quattro precedenti.  

“Il trasporto a lunga percorrenza con un riempimento a un terzo rispetto alla capienza storica, ovvero prima del virus, non è sostenibile”, spiega all’Adnkronos. 

I problemi del tpl, tra sovraffollamenti, picchi e orari di punta, “sono risolvibili con nuove regole, di concerto con le amministrazioni comunali” per la minore domanda che caratterizzerà i prossimi mesi, mentre il distanziamento obbligatorio sulle distanze più lunghe non può funzionare, se non a fronte di un drastico aumento dei prezzi. Beria fa l’esempio di Italo, l’impresa ferroviaria privata concorrente di Trenitalia. “Non può stare in piedi alla lunga con il 30% il riempimento: dovrebbe all’incirca triplicare i prezzi”. E triplicandoli, “si potrebbe spendere per la tratta Roma-Milano oltre 200 euro”, rendendo improbabile il raggiungimento di un equilibrio tra domanda e offerta.  

Quanto agli aerei, “Ryanair ha già dichiarato che non seguirà i regolamenti sul distanziamento. Sono convinto che non volerà mai con gli aerei a un terzo della capacità, piuttosto li lascia a terra”. A regime, secondo il professore, la soluzione è quella della piena capacità con i dispositivi di protezione, dalle mascherine ai guanti.  

“Io non so se sono pienamente efficaci ma penso che la via debba essere questa: ci dovremo abituare all’idea che per i prossimi mesi o per il prossimo anno, quando prenderemo un aereo o un treno, lo prenderemo con una mascherina ad alta protezione”. Magari venduta dalle stesse compagnie di trasporti.  

IL CASO DI MILANO 

Sulla mobilità cittadina, invece, per il professore “la situazione non dovrebbe essere così drammatica”. La città di Milano, ad esempio, “si è mossa bene e in maniera proattiva”. 

“Ci sarà – sottolinea – una inevitabile riduzione della capacità del sistema, ma anche una riduzione degli utenti. La vera sfida delle aziende è indovinare quale sarà il rapporto tra le due”. La domanda è il fattore chiave. “Nelle grandi città – è il ragionamento di Beria – il problema potrebbe essere meno drammatico di quello che pensiamo. Molti lavoratori sono del terziario. Se continuano a stare a casa in telelavoro, non torneranno in ufficio. Gli studenti non ci sono e nemmeno fiere, grandi eventi o meeting e turismo”. Si muove chi ha motivi personali, “ma questo non riguarda gli orari di punta”. 

Il vero problema saranno le casse comunali. Il Comune di Milano ha stimato in oltre 400 milioni “il rosso” per le minori entrate causate dalla crisi sanitaria. Tra queste, la perdita per i mancati introiti da biglietti, stima il professore, sarà “di molte decine di milioni”.  

Il punto sono gli utenti occasionali, scomparsi con il lockdown: “I ricavi del trasporto pubblico a Milano si basano sui visitatori occasionali o sui turisti che comprano biglietti singoli. Non sono certo i pendolari a tenere in piedi il servizio”. L’importante, ora, è continuare con “le politiche di rottura, come l’urbanistica tattica, che incentivi le pedonalizzazioni e le piste ciclabili temporanee che poi si possono consolidare”. (Vittoria Vimercati)