(Adnkronos) –
Il trattamento adiuvante (successivo alla chirurgia) con olaparib ha dimostrato di produrre un miglioramento statisticamente significativo nella sopravvivenza globale rispetto al placebo, e di ridurre il rischio di mortalità di quasi un terzo, in pazienti con mutazione germinale Brca (gBRCAm) e tumore al seno in stadio precoce, negativo per il fattore di crescita epidermico umano (Her2-negativo), ad alto rischio di ricaduta, che hanno completato il trattamento locale e sono state trattate con chemioterapia neoadiuvante o adiuvante. E’ quanto indicano nuovi dati dello studio di fase 3 OlympiA, comunicati da AstraZeneca e Msd. I risultati aggiornati sono stati presentati nella sessione plenaria virtuale dell’Esmo, Società europea di oncologia medica.  

Il trial è stato condotto dal Breast International Group (Big) in collaborazione con Frontier Science & Technology Research Foundation, Nrg Oncology, AstraZeneca e Msd. Nell’endpoint secondario chiave di sopravvivenza globale – riportano le due aziende – olaparib ha ridotto il rischio di morte del 32% rispetto a placebo. Il tasso di sopravvivenza a 3 anni è stato del 92,8% rispetto all’89,1% con placebo. A 4 anni, il tasso di sopravvivenza è stato dell’89,8% per le pazienti trattate con olaparib rispetto all’86,4% con placebo. Il tumore della mammella è il cancro più comunemente diagnosticato nel mondo – ricorda una nota – con una stima di 2,3 milioni di casi nel 2020. In Italia si stima che, nel 2020, circa 55mila donne abbiano ricevuto una diagnosi di tumore al seno e la presenza di una mutazione germinale Brca si rileva in circa il 5% delle pazienti. 

“Gli ultimi risultati dello studio OlympiA sono un’ottima notizia per i pazienti con una specifica forma ereditaria di cancro al seno e confermano che è in corso una vera rivoluzione nella terapia di questa malattia, basata su trattamenti sempre più mirati ed efficaci – afferma Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di Senologia dell’Istituto tumori Pascale di Napoli e Principal Investigator dello studio OlympiA per l’Italia – Nello specifico, i risultati si riferiscono ai tumori della mammella ereditari, insorti in donne con mutazione in uno o entrambi di due geni specifici denominati Brca1 e Brca2. La maggior parte di questi tumori, quando identificati in fase precoce, guariscono. Non tutti però, e una parte di questi ha un rischio più elevato. Lo studio OlympiA ha ora dimostrato che in questi casi è possibile usare olaparib, un farmaco che colpisce specificamente le mutazioni dei geni Brca1 e 2, per ridurre ulteriormente il rischio di recidiva e aumentare le probabilità di guarigione definitiva. Questi risultati – evidenzia lo specialista – cambiano nettamente il significato del test Brca nei tumori mammari in fase precoce, la cui conoscenza non è più solo legata alle eventuali strategie di prevenzione, ma assume un significato diretto ai fini della personalizzazione della terapia medica e all’impiego dell’olaparib. Questi dati rafforzano ulteriormente l’importanza di effettuare il test Brca sul sangue immediatamente dopo la diagnosi e sottolineano la necessità di adeguare le attuali indicazioni per la prescrizione del test a criteri compatibili con lo studio OlympiA”. 

Per Laura Cortesi, responsabile della Struttura di Genetica oncologica presso il Dipartimento di Oncologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Modena, “i dati dello studio OlympiA rafforzano l’importanza di conoscere al momento della diagnosi lo stato mutazionale Brca, per permettere alle pazienti di accedere a una terapia personalizzata efficace e in grado di garantire una buona qualità di vita. Il test genetico, a fini prognostici e predittivi di risposta alle terapie, viene eseguito su sangue. Può essere prescritto dall’oncologo o dal genetista, che diventano responsabili anche di informare adeguatamente la paziente sugli aspetti genetici collegati ai risultati. Diviene pertanto fondamentale – sottolinea la specialista – che tutte le pazienti affette da neoplasia triplo negativa effettuino il test Brca al momento della diagnosi poiché, in caso di mancata risposta completa alla chemioterapia neoadiuvante o in presenza di tumori superiori ai due centimetri o con almeno un linfonodo positivo, la mutazione genetica potrà consentire di eseguire un trattamento di mantenimento con un reale vantaggio di sopravvivenza. Anche in pazienti affette da tumori a recettori ormonali positivi insorti entro i 35 anni di età, o con pregresse neoplasie ovariche o forte familiarità, può essere utile eseguire il test Brca a scopo terapeutico, qualora siano presenti almeno 4 linfonodi interessati oppure non vi sia una risposta completa patologica alla terapia neoadiuvante”. 

La scorsa settimana – prosegue la nota – olaparib è stato approvato dall’Agenzia del farmaco americana Fda per il trattamento adiuvante in pazienti con gBRCAm e tumore della mammella Her2-negativo in fase precoce, ad alto rischio, trattate con chemioterapia neoadiuvante o adiuvante. Olaparib è anche approvato in Usa, Ue, Giappone e numerosi altri Paesi per il trattamento di pazienti con gBRCAm e tumore della mammella Her2-negativo metastatico precedentemente trattati con chemioterapia (i pazienti con malattia positiva al recettore ormonale devono inoltre aver progredito durante o dopo una precedente terapia endocrina o devono essere considerati non eleggibili per quest’ultima). In Ue e Giappone questa indicazione include anche pazienti con tumore alla mammella localmente avanzato. 

In Italia, olaparib è indicato e rimborsato in monoterapia per il trattamento di pazienti con cancro della mammella, localmente avanzato o metastatico, Her2-negativo, Hr-negativo e con mutazioni germinali Brca1/2, precedentemente trattati con un’antraciclina e un taxano e con platino nel setting (neo)adiuvante o metastatico, a meno che non eleggibili per questi trattamenti.