Chi c’è dietro gli assistenti virtuali con cui ormai spesso ci troviamo ad interagire sul web? Grazie ad una start up specializzata ne capiamo qualcosa in più

Quante volte ci è capitato di interagire con un interlcutore non umano su un sito di e-commerce o di servizi? Questi strumenti, chiamati tecnicamente chatbot, possono essere considerati l’evoluzione della voce registrata nei centralini telefonici e sono ovviamente molto più “raffinati”, in quanto devono essere in grado di parlare con un essere umano rispondendo a domande complesse.

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Chiaramente, questa tecnologia funziona solo grazie al supporto dell’essere umano: dietro ogni sistema virtuale c’è il minuzioso lavoro dei Conversation Designer, veri e propri architetti delle conversazioni virtuali che cercano di fornire, appunto, una voce il più umana possibile all’agente conversazionale.
Alla base di qualsiasi interazione o conversazione c’è la capacità di comprendere senza ambiguità e di rispondere in modo coerente al proprio interlocutore. La comunicazione tra umani e chatbot non fa differenza. Un chatbot comprende i messaggi grazie alle tecnologie NLU che analizzano e interpretano il linguaggio naturale usando complessi algoritmi di machine learning. I Conversation Designer sono proprio quelle figure specializzate nella costruzione di flussi conversazionali che devono essere il più naturali e fluidi possibile.


Heres è una startup innovativa per lo sviluppo di Agenti Conversazionali multicanale e multilingua pensati per automatizzare i Processi Aziendali e migliorare la Customer Experience: la sua forza sono proprio i suoi Conversation Designer, specialisti nelle conversazioni che definiscono l’esperienza conversazionale, rendendo i bot proattivi ed empatici, progettando ogni aspetto dell’Agente Virtuale e personalizzandolo sulla base dei processi di interazione e del cliente.

Sono quindi loro a dirci come deve essere il chatbot perfetto: deve capire prima di tutto le esigenze del cliente che lo commissiona e dell’utente con cui si trova a parlare, devono poi essere in grado di guidarlo nella conversazione per riuscire ad aiutarlo.

Ma uno degli aspetti più affascinanti è il tone of voice di queste conversazioni:

Meglio un assistente automatico formale o informale? Serio o spiritoso? Rispettoso o ironico? L’utente preferirà un linguaggio forbito e altisonante o uno slang semplice e diretto? Un chatbot dovrebbe fornire soluzioni concise e pragmatiche o intrattenere con battute di spirito ed estrosi giri di parole? Il tone of voice di un agente conversazionale dipende naturalmente in larga parte dal brand coinvolto e dal target di utenti a cui ci si rivolge. Fondamentale è la capacità di dotare il chatbot di una personalità vicina a quella del brand: il chatbot è infatti in prima linea nella relazione con i clienti del brand presentandosi come assistente di primo livello sui touch point dedicati del Cliente. Scrivere le conversazioni di un chatbot non significa, però, solo far sì che la grammatica sia corretta, il tono appropriato e la scelta lessicale accurata, ma anche giocare con le parole, con gli standard culturali e con la conoscenza condivisa, affinché le risposte del chatbot sembrino il più naturali possibili per dare all’utente un’esperienza conversazionale unica e personalizzata.