Lo studio, pubblicato sulla rivista eNeuro dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, spiega come il cervello predice parole

Il cervello predice le parole del nostro interlocutore. Proprio così. Quante volte vi è capitato di parlare con qualcuno a feste o concerti? In luoghi, insomma, in cui c’è molto rumore e non è proprio facile fare conversazione. Per questo, tutte le volte che ci troviamo in situazioni del genere, il nostro cervello prova a venire in nostro aiuto.

In che modo riesce a presagire le parole di chi parla con noi? Basandosi sui primi stimoli uditivi che gli arrivano in diretta.

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Lo conferma uno studio pubblicato sulla rivista eNeuro dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste, in collaborazione con l’Università di Liverpool e quella di Cambridge.

Ecco come il cervello predice le parole

Alcuni volontari si sono sottoposti a un’analisi dell’udito attraverso un elettroencefalogramma: il test ha esaminato le loro reazioni mentre ascoltavano precisi gruppi di sillabe. La ricerca ha messo in evidenza che quando la parola ripetuta era quella che già sentita più volte, le onde cerebrali seguivano un preciso andamento. Quando invece c’era una variazione nella seconda sillaba, nelle onde cerebrali appariva un preciso segnale (detto Mmn). Questo segnale di solito si registra quando una predizione viene smentita.

“Questo significa che, sulla base della prima sillaba, il cervello aveva fatto una previsione su quale potesse essere la parola che le persone stavano sentendo: quando la previsione veniva disattesa, compariva il segnale Mmn” – ha spiegato Yamil Vidal, primo autore della ricerca.

Il segnale Mmn appariva anche quando cambiava la terza sillaba. In quel caso era più ampio perché, essendo le prime due sillabe quelle giuste, lo stupore per la predizione smentita era maggiore. “Questo è molto interessante perché ci dice che la previsione viene mantenuta nel tempo, anche lontano dal passato più immediato” – ha aggiunto il ricercatore.

Nonostante la ricerca si sia concentrata in particolare modo sul linguaggio, “questa capacità di fare previsioni potrebbe essere messa in atto in qualsiasi altra esperienza uditiva, dall’ascoltare la musica a qualsiasi suono ambientale” – ha concluso Vidal.

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