«Bisogna lavorare nel futuro», dice Diana Eugeni parlando di Vuscichè e di riciclo al Garofano Rosso Film Festival.

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Anche la moda può essere sostenibile e ne è una prova inconfutabile il brand Vuscichè, nato dalla mente dell’abruzzese Diana Eugeni. In occasione del Garofano Rosso Film Festival a Forme di Massa d’Albe, la stilista è stata protagonista di un talk in cui ha raccontato in che modo riesce a trasformare le vecchie coperte abruzzesi in capi d’alta moda. Tutto nel segno del riciclo e dell’ecosostenibilità.

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«In dialetto abruzzese, vuscichè vuol dire mescolare con la forza. – racconta Diana – Volevamo creare look e vestire persone dalla testa ai piedi dando loro una scombinata. Una vuscicata, appunto. Il territorio abruzzese non è mai stato super elegante come Milano, ma non è mai stato neanche troppo volgare. Ha avuto le sue donne eleganti, anche brigantesse, che hanno conservato un orgoglio un po’ gitano e un po’ fuori dal comune. Per come la vedo io, queste donne molto belle e molto fiere hanno look strepitosi che nessuno ha mai guardato».

Per dar vita al suo marchio, quindi, Diana si è prima immersa in una lunga ricerca e nello studio dell’iconografia storica della moda abruzzese. «Vuscichè – commenta – nasce in tempi in cui la moda sta cambiando profondamente. C’è il problema della sovrapproduzione, abbiamo troppo. E tutte queste cose che non vengono mai vendute vengono mandate in Cina o in Africa. Lì giacciono in discariche a cielo aperto altamente inquinanti. O vengono bruciate, che è ancora peggio. Il prodotto moda oggi è altamente inquinante e creare l’ennesimo brand che inquina per me è una visione totalmente superata».

Vusciché e il fascino delle coperte abruzzesi

«Mi sono imbattuta nelle coperte abruzzesi. – racconta Diana Eugeni – Non mi ero resa conto di quanto fossero preziose. Sono realizzate con telai molto antichi, usati a mano. Oggi una coperta si fa in 12 minuti. Le vecchie coperte richiedevano almeno 15 giorni. Sono irriproducibili e finiscono puntualmente in discarica perché sono ingombranti, sono complicate da lavare, vengono dimenticate in lavanderia. Hanno colori spesso impossibili, ci ricordano tempi che non vogliamo ricordare. Sono abbandonate ma preziose. Sono di lana e lavorate in doppio jacquard. Quindi non hanno né dritto né rovescio. E infine hanno una storia interessante, perché ogni sposa ricca abruzzese ne doveva avere una».

Il senso del progetto Vusciché è dunque, per Diana, l’introduzione di «aspetti diversi e nuovi». Non manca «un po’ più ricerca rispetto alla moda tradizionale». E ovviamente tanto lavoro, perché trasformare una coperta in un altro capo non è semplicissimo, soprattutto se – come Diana – si mantiene l’ecosostenibilità come principio necessario.

«L’obiettivo è recuperare più materiale possibile e reinventarlo. – conclude Diana – È importante lavorare nel futuro. Il sostenibile costa il quadruplo e questo purtroppo ed è un problema. Ma la sostenibilità è l’unica soluzione perché stanno finendo le risorse rinnovabili. Mi auguro, per questo, un generale ritorno alla prossimità».