Sea Shepherd è un organizzazione internazionale senza fini di lucro, il cui obiettivo è quello di salvaguardare gli oceani e chi gli abita. Abbiamo parlato con la Maria Elena, che ci ha spiegato qualcosa di più sul mondo del volontariato di mare

L’organizzazione internazionale per la salvaguardia dei mari è ormai presente in tutto il mondo, ed anche in Italia. Ogni anno organizzano missioni da terra e da mare al fine di proteggere le coste italiane, tutt’oggi lograte dalla pesca intensiva ed illegale. 

Fondata nel 1977 da Paul Watson, Sea Shepherd è un organizzazione internazionale senza fini di lucro, il cui obiettivo è quello di salvaguardare gli oceani e chi gli abita. Per poter adempiere a questo obiettivo, viene usata la tecnica dell’azione diretta e cioè dell’investigazione, della documentazione e dell’azione là dove vi sono attività illegali. 

La sede italiana è stata fondata nel 2010 dal suo attuale presidente, Andrea Morello. Le campagne più importanti, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, la Guardia Costiera e di Finanza, sono due: quella di Siracusa che si svolge ogni mese, ed il cui l’obiettivo è quello di monitorare l’area marina protetta del Plemmirio sia di giorno che di notte, rimanendo in contatto costante con le forze dell’ordine così da segnalare eventuali illegalità; e quella del SISO, che si tiene solitamente in mare da giugno a luglio ed anche ad Ottobre. Il focus di questa missione è quella monitorare delle zone attorno alla Sicilia ed alle Isole Eolie, in cui vengono ancora usate attrezzature da pesca illegali: le cosiddette “spadare”, reti avente maglie comprese tra 20 e 40 centimetri, lunghe decine di chilometri e calate a forma di “U”, nelle quali possono rimanere impigliati anche mammiferi marini; e gli aggregatori di pesci, detti “FAD” o “caponare”, formate da un filo di polipropilene e da plastica che non solo inquinano il mare ma sono molto pericolosi per le tartarughe e per la navigazione notturna; se ne contano 10.000 solo nell’arcipelago delle Eolie. 

A bordo con Sea Shepherd 

Il caldo estivo riesce quasi a soffocare i pensieri, alcuni dei volontari di Sea Shepherd fumano le ultime sigarette all’ombra dei muri del porto, l’ex baleniera donata dal produttore dei Simpson, Sam Simon, è pronta a prendere il largo. Sul ponte della nave ci sono solo donne, il nostromo, Molly, pronuncia i comandi ed i suoi mozzi eseguono le manovre come se fossero dei professionisti. Una scena quasi paradossale se si pensa che in realtà alcuni di loro non sono mai saliti su una nave prima di quel giorno. 

Il sole dipinge di arancione il fruscio dell’acqua, la terra ferma è ormai lontana. L’equipaggio di 30 persone è ormai isolato in mezzo al mare, pronto a difenderlo ad ogni costo. Vivere su una nave lontano da ciò che si conosce e ci rassicura, dà la sensazione di appartenere ad un mondo a sé stante, ad un mondo indipendente in cui vigono regole completamente diverse da quelle che ormai scandiscono la nostra esistenza. 

A bordo ci sono 15 nazionalità diverse, per proteggere il mare italiano sono venute persone dal mondo intero, persino dalla Nuova Zelanda. Per facilitare la comunicazione e l’integrazione degli uni e degli altri, la lingua ufficiale è l’inglese. E’ questo uno degli obiettivi dell’inizio di una campagna: creare un gruppo solido, solidale, determinato e che abbia ben in mente il proprio ruolo ed il proprio obiettivo. L’equipaggio è diviso in diversi gruppi: i deckhand (mozzi), gli ingegneri, i capitani, i camping leader (coloro che dirigono la missione), i medici ed i cuochi. Un stato libero dai vincoli terrestri, e nel quale ognuno deve produrre al fine di garantire la sicurezza degli altri, ed il successo della missione. 

Dalla mensa provengono sempre schiamazzi, è lì che l’equipaggio si ritrova per mangiare, ed anche dove trascorre il proprio tempo libero dopo i turni. Le attività sono molteplici: giocare a carte, ricamare e leggere. Dalle 21 in poi cala un silenzio assordante, in cui l’unico rumore percepibile è quello del motore che non viene quasi mai spento, così da garantire un monitoraggio costante. Ligi al dovere ed alla loro necessità di salvaguardare gli ecosistemi marini, i volontari raggiungono le loro stanze per poter svolgere al meglio le attività del giorno dopo. 

Una vita da volontaria 

A prendere parte a questo trambusto organizzato c’è anche Mariaelena, una dei mozzi, sulla quarantina ed originaria di Brescia. I suoi occhi hanno lo stesso colore della natura ed i suoi capelli quello della profondità del mare: “Mi sono imbarcata ormai tre anni fa, doveva essere un esperienza di massimo un anno, ma non riesco né voglio smettere. Quando vedi con i tuoi occhi ciò che l’uomo è capace di fare ad uno dei beni, se non il bene , più prezioso che abbiamo non si può più rimanere con le mani in mano e pensare che ci sarà un altra persona che risolverà la situazione. La soluzione siamo noi, ed ognuno deve prendersi le proprie responsabilità.”

Inizialmente Mariaelena può sembrare scostante, concentrata sui suoi impegni, non si lascia scappare facilmente un sorriso. Nonostante questo primo impatto, dietro alla sua apparente armatura, si nasconde una donna profondamente sensibile ed affettuosa, una donna capace di rinunciare a tutto per il bene altrui: “Ho messo in pausa la mia vita, lasciato il mio lavoro e venduto la mia casa. Non è stato facile e ci sono dei momenti davvero molto difficili, ma la posta in gioco è troppo alta per rimanere concentrati sul proprio micro cosmo, al quale non si vuole mai rinunciare per paura o per pigrizia.”

Da mozzo, le giornate di Mariaelena sono ben scandite: sveglia alle sei, colazione alle sette, meeting organizzativi fino alle otto, pulizia e manutenzione della nave, pranzo a mezzogiorno, cena alle sei, senza dimenticare la doccia di cinque minuti: “Può sembrare una vita monotona ma ogni giorno ci sono cose diverse da fare e nuove nozioni da imparare.” Ma ciò che soprattutto può creare cambiamenti improvvisi, sono avvistamenti di attrezzature illegali oppure missioni di sorveglianza dei pescherecci: “Quasi ogni giorno capita che nel mentre sto finendo di dipingere qualcosa, viene avvistata un attrezzatura che debba poi essere tolta dall’acqua. Oppure mi è capitato, più volte di una volta, di essere svegliata di notte per poi salire sul gommone ed andare a sorvegliare un target fino all’alba.”

Circondati dalle sinuose forme delle isole siciliane, la quiete del mare accompagna la flotta di Sea Shepherd nel suo viaggio di redenzione. Mariaelena è in mensa, sta parlando con gli altri volontari italiani durante la pausa pomeridiana. I corridoi sono impregnai di caffè ed ingenuità, ma improvvisamente i megafoni si accendono: “Deckhand sul ponte, avvistata una rete distante due miglia.” Come soldati ben formati, i volontari prendono il proprio posto. In lontananza si vede qualcosa galleggiare, ma è impossibile capire di che cosa si tratti realmente. I minuti passano ed il calore del sole si fa sempre più tenue. Arrivati sul posto, un gommone prende il largo per vedere da vicino di che cosa si tratti: è una rete spadara, ma ormai è troppo tardi per cominciare l’operazione di ritiro: “Sono i momenti più frustranti, quando sai che c’è un problema, che stanno morendo animali ma, nonostante tu sia lì pronto ad intervenire, devi aspettare.”

E’ stata una notte di angoscia e di sospiri, una notte lunga in cui nessuno è rientrato nella propria stanza per potersi riposare. Ai primi accenni dell’alba la Guardia Costiera arriva sul posto, e così inizia una lunga giornata di intenso lavoro: “Siamo stati tutto il giorno in gommone per aiutare le autorità. Ogni volta che riuscivano a tirare sù un nuovo pezzo di rete, spuntava il volto di un pesce o di un mammifero. E’ stato straziante perché nessuno di loro era vivo, nessuno di loro avrebbe potuto riprendere a nuotare, libero di godersi l’azzurro del mare.”

In totale sono stati sequestrati 6 chilometri di rete illegale. Un numero vertiginoso, che però non è che la punta dell’iceberg del problema: “I pescatori, che poi quelli che fanno bracconaggio non meritano neppure di essere chiamati così, si fanno sempre più furbi. Ormai ci conoscono, sanno quando arriviamo e quindi si spostano, o trovano nuovi modi per pescare illegalmente. È una lunga partita a scacchi, in cui pensi di conoscere le regole ma esse vengono cambiate improvvisamente. Ciò che hai imparato l’anno precedente non serve più, ma non per questo ci arrenderemo. Ritorneremo ogni anno, fino ad arrivare al giorno in cui non ci saranno più attrezzature illegali nel Mediterraneo”, commenta Andrea Morello. 

E’ questa la vita di un volontario di mare: salire su una nave conscio di dover imparare quasi tutto, capire velocemente come svolgere le proprie attività ed infine salvare vite: “E’ questa la cosa che mi piace di più, usare le mie mani per poter fare del bene, per poter levare dal mare tutto ciò che lo distrugge, liberare animali e quindi garantire un futuro a chi verrà dopo di noi, nella speranza che capisca, e non commetta più i nostri stessi errori.”

Più del 70 per cento del Mar Mediterraneo è sovra sfruttato. Per ogni respiro che proviene dalle foreste, l’altro è donato dagli oceani. La pesca illegale ed eccessiva soffoca i nostri mari, e sempre più ci avviciniamo al punto di non ritorno. Come commenterebbe Paul Watson: “Se gli oceani muoiono, moriremo anche noi.”