Cambiamenti climatici, spostamenti velocissimi, consumo di carne in costante aumento: ecco come abbiamo reso, nei secoli, la vita più semplice ai virus che vogliono aggredirci

Negli ultimi decenni, sono state scoperte nuove famiglie di virus che hanno aumentato le malattie a propagazione rapida. Un dato che coincide con l’improvviso ed irrefrenabile cambiamento delle nostre usanze.

Sulla Terra vivono più di 7 miliardi di persone, istallandosi sempre più vicine le une dalle altre. Oggi più di 4 miliardi di persone vivono su 1% delle terre emerse, senza contare che molte di queste zone non sono allestite per ospitare la vita come le baraccopoli, dove non vi è né acqua corrente né rete fognaria. Questa prossimità implica un rischio molto elevato di essere esposti a patogeni che possono causare malattie. Infatti il Covid-19 sembra trasmettersi tramite il contatto e per mezzo di microscopiche goccioline dissipate mentre una persona starnutisce o tossisce, quindi per potersi propagare, le persone devono essere molto ravvicinate.

Ma il Coronavirus non è la prima epidemia che l’umanità abbia dovuto affrontare. In Africa nel 2014, l’Ebola si è diffusa tramite il contatto con il sangue ed altre materie organiche, quindi anche in questo caso le persone dovevano trovarsi a stretto contatto. Non tutti i virus però si trasmettono da uomo a uomo, molti si sono propagati dal contatto l’essere umano e gli animali, come Zika che è trasmessa dalle zanzare. Nonostante questo, il ravvicinamento tra gli uomini ne facilita una più rapida propagazione.

“Ci avevano avvertiti”

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva pubblicato nel 2007 un rapporto sulle infezioni virali, evidenziando come i cambiamenti ambientali sarebbero potuti essere fonti di trasmissioni virali alle quali non eravamo pronti. Questa tesi è stata appoggiata dalla comunità scientifica, in particolare dalla virologa Ilaria Capua, che spiega come la diffusione dei virus non sarebbe altro che la risposta della natura ai nostri comportamenti: “Tre coronavirus in meno di vent’anni rappresentano un forte campanello di allarme. Se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi.

Questo particolare meccanismo era già stato decriptato nel 2012 da David Quammen, l’autore di “Spillover. L’evoluzione delle pandemie”. In una recente intervista rilasciata a Wired, spiega passo per passo le ragioni per le quali assisteremo ad altre crisi come quella attuale: “I nostri ecosistemi sono pieni di specie che contengono virus unici e molti di questi possono contagiare gli esseri umani. Alterando l’ambiente i virus effettuano uno “spillover”, cioè un salto di specie da un portatore animale all’umano, adattandosi infine alla trasmissione uomo-uomo.”

L’intensificazione degli spostamenti

Oltre alle alterazioni climatiche, influiscono molto sulla diffusione dei patogeni i movimenti dei popoli. Con i mezzi di trasporto sempre più capienti, convenienti e veloci, un virus può percorrere la metà del globo in meno di una giornata. Solo nel 2019 le compagnie aree hanno accolto più di 4 miliardi di passeggeri, il doppio rispetto a dieci anni prima. Non a caso, qualche settimana dopo la comparsa del Covid-19, in più di sedici paesi sono stati ricoverati i primi casi sospetti.

Quest’epidemia da “viaggio” non è stata la prima registrata nella storia. Nel 1918 l’apparizione dell’influenza Spagnola ha coinciso con il massiccio spostamento delle persone alla fine della Prima Guerra Mondiale. Mentre i soldati tornavano dai loro cari, nei loro paesi, portavano con loro l’influenza. Il virus si è diffuso in comunità che non avevano sviluppato nessuna resistenza ai nuovi patogeni, prendendo così il sistema immunitario completamente alla sprovvista. Nonostante fosse une epoca antecedente ai viaggi in aereo, la Spagnola si è propagata in quasi tutte le regioni del mondo e ha ucciso tra in 50 e 100 milioni di persone. Secondo uno studio condotto dal virologo John Oxford, il batterio avrebbe avuto origine in un campo di transito, nel quale passavano ogni giorno più di 100 000 soldati.

Ci sono voluti ben nove mesi affinché quest’epidemia conquistasse il mondo, sarebbe quasi da chiedersi cosa sarebbe successo se l’influenza Spagnola si fosse propagata durante il decennio corrente.

Il consumo di carne aumenta il rischio di malattie

L’Ebola, la SRAS, Zika ed il Coronavirus di Wuhan sono tutte malattie zoononotiche, cioè trasmesse dall’animale all’umano.

Le ipotesi sul Coronavirus sono molteplici. Le più plausibili sono quelle riguardanti il mercato di carne di Wuhan, nel quale è possibile consumare qualsiasi tipo di carne dal pangolino al serpente. Ma i recenti studi scientifici hanno rilevato innumerevoli similitudini tra il Covid-19 ed i coronavirus dei pipistrelli. Questo sarebbe anche piuttosto logico visto che la SRAS è stata trasmessa da una civetta, che a sua volta era stata contagiata da un pipistrello.

I Coronavirus sono tipici degli animali, soprattutto selvatici. Come lo mostra un servizio andato in onda su “Indovina chi viene a Cena”, condotto da Sabrina Giannini; nella maggior parte dei mercati cinesi si possono trovare ogni specie di animali vivi o morti in zone di altissima densità popolare. Questo spiegherebbe perché le ultime due epidemie sono partite proprio dal continente Asiatico.

Oggi circa tre nuove malattie su quattro sono di origine animale. Il nostro appetito sembra quasi implacabile, in meno di 50 anni il consumo di carne pro capite è aumentato del 700%, la nostra densità demografica implode sempre di più forzandoci così a costruire in zone rurali dove gli uomini entrano a contatto con animali selvatici, ed inoltre la deforestazione costringe gli animali a ricollocarsi in zone nelle quali non possono svilupparsi in modo naturale.

Imponiamo al mondo che ci circonda di adattarsi alla nostra brama di volere e possedere sempre di più, quello che otteniamo però è l’effetto contrario. Nonostante il nostro progresso tecnologico, abbiamo avuto la prova che non sappiamo affrontare una pandemia, e che il nostro sistema sanitario non è ancora capace di fare fronte a tali minacce.

(Articolo di Ilaria Congiu)