La testimonianza di alcune ragazze palestinesi provenienti dal campo profughi di Shatila che hanno scoperto la loro passione per lo Sport e hanno partecipato alla prima edizione del torneo femminile Basket Beats Borders. L’evento sportivo si terrà nuovamente a Roma a fine giugno.

Ha iniziato a giocare da sola. Credeva che nessun’altra ragazza del posto in cui viveva fosse interessata al basket. Invece, qualche tempo dopo, ha incontrato un gruppo di coetanee con la sua stessa passione e ha iniziato ad allenarsi con loro. Ora Rola Ferekh fa parte di una squadra di basket femminile.

Non è facile per le ragazze che vivono nel campo profughi di Shatila, a Beirut, avere occasioni di fare sport. Mancano le opportunità, mancano gli spazi. Eppure Majdi Adam è riuscito a metter su una squadra che oggi conta dalle 16 alle 20 giocatrici.

Ho pensato fosse più facile iniziare da me e da mia figlia. Poi ho coinvolto le figlie dei miei amici. La questione non era se a loro piacesse o meno il basket ma che avessero la possibilità di poter scegliere se praticare quel determinato sport” ha spiegato il coach, intervistato lo scorso anno in occasione della prima edizione di Basket Beats Borders.

Anche quest’anno Roma si appresta a ospitare questo particolare torneo di basket femminile organizzato da Un Ponte per…, Sport Against Violence, Real Palestine Youth Fc e il Centro Laici Italiani per le Missioni, che permette di far incontrare giocatrici italiane con giocatrici provenienti dal campo profughi palestinese in Libano.

Il torneo spiega l’ideatore del progetto, David Ruggini – nasce dal mio incontro con Majdi, che mi ha fatto conoscere la realtà del campo di Shatila”.

I palestinesi che vivono nei campi profughi hanno meno diritti dei libanesi e in generale non hanno possibilità di poter viaggiare o muoversi liberamente. “Attraverso lo sport abbiamo provato ad abbattere questa barriera” continua David.

Per capire quanto lo sport sia diventato importante per queste ragazze, che ora si sentono parte di un progetto condiviso fuori dai limitati confini in cui sono costrette a vivere, basta vederle giocare e guardare i loro occhi quando dicono: “In campo mi sento felice”.

Giocare ha il sapore della felicità, dunque, ma anche della libertà. Le aiuta a sentirsi un po’ più normali, come il resto delle ragazze della loro età di altri Paesi. Come l’Italia, dove hanno avuto la possibilità di essere accolte nell’ambito del torneo femminile Basket Beats Borders.

Non è facile creare una squadra di ragazze. All’inizio c’erano reticenze dovute alla tradizione” ammette Majdi, che è andato casa per casa a convincere i genitori a lasciar giocare le proprie figlie. Grazie alla sua caparbietà, ciò che sembrava impossibile, oggi è una bellissima realtà, e grazie anche all’impegno di un altro allenatore, Rabih Salah, il basket per le giovani palestinesi non è solo un’attività sportiva ma un modo di intendere la vita.

Ho provato a trovare una metodologia di allenamento che rendesse le ragazze più forti nella loro personalità, più sveglie nei riflessi, nei comportamenti e nelle emozioni per gestire meglio le varie situazioni con cui capita di confrontarsi nella vita” spiega Rabih.

Così, capita che una ragazza come Marwa Handan, alla quale di sport non è mai importato nulla, diventi una brava giocatrice di basket e non si perda alcuna partita in TV.

Penso che abbiamo iniziato questa avventura pensando: “Vogliamo fare sport per i diritti” – racconta ancora Rabih – “e oggi, grazie a questo progetto con l’Italia, ci sentiamo davvero parte di un movimento di donne che giocano a basket”.

Tutto questo grazie a progetto nato dal basso e che fa leva sul contributo di chi crede in un mondo senza confini, senza barriere, senza distinzioni. Anche grazie allo Sport.

Per aiutare gli organizzatori a organizzare la seconda edizione del torneo Basket Beats Borders è possibile partecipare alla raccolta fondi avviata sul sito di crowfunding produzionidalbasso.com per coprire le spese di soggiorno e di viaggio delle ragazze e del loro coach Majdi.

E non dimenticate: “Una ragazza che indossa l’Hijab puà fare qualsiasi cosa”. Parola di Marwa.