Dopo 3 anni di guerra contro lo Stato Islamico, l’Iraq si rialza con l’aiuto della comunità internazionale. Servono risorse economiche per la ricostruzione e impegno per ricomporre la coesione sociale. Insomma, si lavora per garantire un rientro sicuro agli sfollati

Un Paese da ricostruire e da ripopolare. L’Iraq è una terra profondamente segnata dopo 3 anni di guerra contro il sedicente Stato Islamico. Per tornare alla normalità, serviranno risorse economiche, pazienza e un lungo periodo di assestamento.

Dalla distruzione delle bombe, sono scappati milioni di persone, una marea di essere umani che si è riversata, o ha provato a farlo, in luoghi meno pericolosi.

Secondo i dati forniti da Bruno Geddo, rappresentante dell’Unhcr, sono 3,3 milioni gli iracheni “che hanno già fatto ritorno nei loro luoghi d’origine, spesso in circostanze difficili”. Ma ce ne sono almeno altri 2,6 milioni che sono ancora sfollati, in attesa di poter tornare in Iraq.

Un rientro che non è mai semplice, in questi casi, perché non si tratta di “un semplice ritorno a casa”, ma di un più complesso e importante “ritorno nella comunità”.

Per questo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), in occasione della Conferenza internazionale sulla ricostruzione dell’Iraq svoltasi a Kuwait City dal 12 al 14 febbraio scorsi, ha voluto ribadire la necessità di avviare un “rientro volontario, sicuro e sostenibile degli sfollati”.

Un percorso che dovrà tenere conto soprattutto dei bambini, la cui generazione “rischia di andare perduta”.

Ma che Paese troveranno gli iracheni al loro rientro?

Il conflitto contro i terroristi islamici lascia un’eredità pesante, come ogni guerra: città danneggiate, in alcuni casi completamente distrutte, aree da bonificare da ordigni esplosivi, infrastrutture da rimettere in piedi. E poi, le comunità disgregate. In uno scenario del genere, il rientro degli iracheni rappresenta una condizione necessaria per la ripresa di un Paese lacerato.

Ora più che mai bisogna programmare la ricostruzione, dunque, per la quale il governo di Baghdad stima una spesa di quasi cento miliardi, risorse che proverranno da finanziamenti internazionali: la Commissione nazionale per l’investimento ha già pubblicato una lista di 157 progetti da finanziare.

E bisogna fare presto: “L’Iraq è di fronte a un bivio storico. È necessario quindi agire rapidamente e ricostruire il Paese con la partecipazione di tutte le componenti della società irachena” sostiene l’Unione Euroepa. Da Bruxelles, per l’Iraq, sono già stati messi sul tavolo 650 milioni di euro per la stabilizzazione, la sicurezza, lo sviluppo e il sostegno alle riforme politiche del Paese.

Dal canto suo, anche l’Italia sta già facendo la sua parte sia a livello istituzionale che attraverso le attività delle organizzazioni non governative. Fondamentale il contributo delle forze armate italiane nel Kurdistan iracheno – dove stanno portando avanti una attività di formazione rivolta ai peshmerga – e a Mosul dove sono impegnati a garantire la sicurezza della diga, che proprio una società italiana sta ricostruendo.

Da una parte le risorse per la ricostruzione, dunque, e dall’altra l’impegno per ricomporre la coesione sociale.

Non dobbiamo lasciare l’Iraq allo sbando perché la guerra è finita – l’appello di Geddo – Questo è un compito vitale che non può essere lasciato a metà”.