Perchè la reputazione di un Paese non si può costruire: all’VIII Festival della Diplomazia, il 20 ottobre all’Università degli Studi di Roma – La Sapienza, un nuovo modo di guardare il mondo: The Good Country Index di Simon Anholt

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Perchè la reputazione di un Paese non si può costruire: all’VIII Festival della Diplomazia, il 20 ottobre all’Università degli Studi di Roma – La Sapienza, un nuovo modo di guardare il mondo: The Good Country Index di Simon Anholt

L’obiettivo è semplice ma ambizioso: apportare cambiamenti alla cultura della “Governance” in tutto il mondo. La maggior parte delle volte, ciascun governo si focalizza quasi esclusivamente sui propri interessi, tralasciando ciò che avviene al di fuori dei propri confini. Le nostre nazioni, però, costituiscono un sistema: se una parte è debole o fallisce, gli svantaggi riecheggiano in tutto il sistema. Per questo motivo, Simon Anholt – ideatore del progetto – ha deciso di diffondere l’idea della “Good Country”: l’intento è di convincere i nostri leaders a cambiare il modo in cui governano, mostrando quanto sia importante tenere a mente non solo gli interessi nazionali ma anche quelli internazionali. Di conseguenza, nell’era delle minacce e delle opportunità globali, è rilevante che accettino un “Dual Mandate”, rendendosi responsabili non solo di fronte ai propri concittadini ma anche di fronte alla collettività internazionale.

L’idea è facile: attraverso il “Good Country Index” si è in grado di misurare in quale quantità ciascun paese sulla terra contribuisce al bene globale. Utilizzando una vasta gamma di dati delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali, ogni paese è stato provvisto di un foglio di bilancio in modo da mostrare in un colpo d’occhio che si tratti di un creditore netto all’umanità, un onere per il pianeta, o una via di mezzo. Questa misurazione non comprende ciò che ogni paese fa a livello nazionale: come “Good Country” è definito ogni paese che soddisfa gli interessi dei propri cittadini senza creare un pericolo o ostacolo per i cittadini degli altri paesi. Difatti, alla base di questo progetto, una riflessione importante:

“A cosa servono davvero i paesi? Esistono puramente per servire gli interessi dei propri politici, imprese e cittadini, o stanno attivamente lavorando per tutta l’umanità e l’intero pianeta?”.

Problemi come il terrorismo, i cambiamenti climatici, le migrazioni, il traffico di esseri umani e il caos economico si stanno via via moltiplicando a causa della globalizzazione. Si tratta di problemi troppo vasti e complicati per poter essere risolti da un solo paese: di conseguenza sorge la necessità di cooperare e collaborare per evitarli o almeno ridurne l’impatto. Per poter diffondere quest’idea in maniera ancora più efficiente, il “Global Vote”: questo strumento permette a ciascuna persona di poter votare per le elezioni dei Capi di Stato di qualsiasi paese, pur non appartenendovi poiché è necessario che ogni persona sulla terra possa esprimere il proprio giudizio sui candidati politici, in modo da permettere loro di fare la cosa giusta per il paese che dovranno governare ma anche per l’intero pianeta.