Il biometano è un gas derivato del biogas, che ha subito un processo di raffinazione e purificazione, detto upgrading: ha gli stessi utilizzi del gas metano e può essere trasportato e commercializzato esattamente nello stesso modo.

Nel tempo però sul biometano sono nate come funghi diverse fake news, tanto da spingere Legambiente e Nuova Ecologia a metterlo al centro della campagna Unfakenews, che punta a ristabilire la corretta informazione ambientale.

Biometano, le fake news

Cosa si dice, a torto, sul biometano?

 Si parla di disagi per le zone che vengono individuate come sede di impianti di trasformazione: ci sarebbero esalazioni di cattivo odore, emissioni inquinanti, l’impatto visivo sarebbe devastante così come fastidiosa la circolazione di camion per il rifornimento degli impianti, addirittura si correrebbe il rischio di sviluppo di batteri patogeni.

Si tratta, come dice il nome stesso della campagna di Legambiente, di fake news: alcuni di questi problemi erano effettivamente presenti ma sono stati risolti con l’avvento degli impianti di nuova generazione, altri sono totalmente inventati.

In realtà il biometano è un gas rinnovabile, prodotto da un processo di trasformazione della materia organica tramite digestione anaerobica, cioè priva di ossigeno, e gli impianti che permettono questa trasformazione
rappresentano la soluzione ottimale per il trattamento di rifiuti organici differenziati, scarti dell’agroalimentare, deiezioni animali e fanghi di depurazione. In un colpo solo quindi si risolve il problema dello smaltimento di questi rifiuti speciali e dalla loro lavorazione si ottengono due prodotti di vitale importanza, il biogas e il digestato da trasformare
in compost di qualità
. Il primo, trasformato in biometano, sostituisce il gas naturale di origine fossile, che è uno dei principali nemici del clima, e può essere immesso nella rete di distribuzione per consumi domestici o per i trasporti.

Il secondo, il biogestato, può essere riutilizzato in agricoltura, restituendo carbonio ai suoli e permettendo la riduzione dell’uso di fertilizzanti chimici.

Biometano in Italia, lo stato dell’arte

Nonostante le grandi potenzialità del biometano, riconosciuto ampiamente come una delle chiavi per la decarbonizzazione, questa tecnologia è ancora ingabbiata da barriere normative e ostacoli sociali, come si legge anche nella ricerca  una ricerca del 2020 di Assolombarda sulla filiera nazionale del biometano.

Secondo Legambiente, “l’Italia con i suoi 2mila impianti (l’80% dei quali è in ambito agricolo) è il secondo produttore di biogas in Europa e il quarto al mondo, ma il potenziale produttivo di biometano potrebbe essere più elevato. Oggi secondo il Consorzio Italiano Biogas solo il 15% dei reflui zootecnici viene trattato in biodigestori che producono biometano e nei prossimi 10 anni questa percentuale potrebbe salire al 65%, passando dalla produzione annua di 1,5 miliardi di m3 di biometano a 6,5”

Il consorzio Gas for Climate, formato da 11 società di infrastrutture energetiche, tra le quali l’italiana Snam, e due associazioni di biometano, incluso il CIB – Consorzio Italiano Biogas, ha proposto alla Commissione Europea, nel suo Policy Paper, di introdurre un target vincolante al 2030 dell’11% di gas rinnovabile sul totale della domanda finale europea di gas. Questo per riuscire a  raggiungere gli obiettivi climatici dell’Unione europea, che prevedono la riduzione delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030.