(Adnkronos) – Fra loro si chiamano “fratelli di polvere”. Operatori sanitari e vigili del fuoco con una missione in comune: recuperare persone sotto le macerie di catastrofi. Come il maxi terremoto che ha colpito Turchia e Siria. Andrea Comelli, medical officer del Team Usar (Urban Search and Rescue) dell’Agenzia regionale emergenza urgenza Areu Lombardia, è diretto proprio lì, a Incirlik in Turchia. La squadra è composta da vigili del fuoco, medici, infermieri e tecnici logistici. “L’obiettivo primario per noi – spiega all’Adnkronos Salute – è sempre quello di riuscire a estrarre delle persone ancora in vita. Certo, queste possibilità tendono a diminuire man mano che il tempo scorre, ma è anche vero che anche stamattina ci sono stati dei salvataggi”.  

“Sembra strano, ma in realtà – racconta – nelle strutture collassate spesso si creano degli spazi di sopravvivenza che vengono chiamati ‘triangoli di sopravvivenza’, in cui le persone in qualche modo possono riuscire ad andare avanti. E la nostra speranza è di raggiungerle il prima possibile e velocemente recuperarle”. Difficile, ma non impossibile, ripete. “In letteratura le percentuali di sopravvivenza tendono a calare in maniera importante dopo i primi giorni. Se c’è una soglia precisa? No. Oltre le 48 ore” dal disastro, “però, è vero che la curva di sopravvivenza tende a cadere di molto. E’ anche vero che, lo ripeto, i ritrovamenti di dispersi in vita stanno continuando. Per l’esperienza che abbiamo avuto anche nelle altre emergenze internazionali, la decisione ultima di interrompere le attività di ricerca è una scelta dello Stato”, precisa.  

In Turchia c’è ancora molto da fare. “L’altra sera, dopo 2 giorni” dal sisma, “c’erano aperti 140 cantieri in Turchia, cioè siti in cui si scava. Sono un’enormità”. E, aggiunge l’esperto, “a noi è capitato di soccorrere persone in vista a distanza anche di diversi giorni”. Ovviamente “sono situazioni particolari”, ammette Comelli. Può incidere il fatto che siano “luoghi abbastanza confortevoli, o le condizioni della persona stessa o le dimensioni della persona”. Essere piccoli, come i diversi bambini che sono stati recuperati in questi giorni dalle macerie in Siria e Turchia, è un vantaggio? “Da un lato, trattandosi di spazi ridotti di sopravvivenza, sì – risponde – Ma dall’altro no: i neonati ad esempio si raffreddano molto più velocemente e la disidratazione e la temperatura sono fra i rischi più grandi”. Ed ecco perché vengono definiti miracolosi i ritrovamenti dei neonati sopravvissuti finiti alla ribalta delle cronache in questi giorni.  

Fa male, ma non c’è un algoritmo della salvezza. Purtroppo, ragiona il soccorritore mentre è in viaggio verso la meta della sua missione, “regole precise non ce ne sono, c’è un grosso livello di indeterminatezza”. Comelli lo sa bene, ha all’attivo interventi in vari terremoti d’Italia, come quello di Amatrice. Era fra i soccorritori che operarono all’hotel Rigopiano travolto dalla valanga nel 2017, e poi nel 2018 in occasione del crollo del ponte Morandi, e a livello internazionale per il sisma in Albania. “La Turchia già nel ’99 visse un gigantesco terremoto”, rammenta. Ma colpisce l’enormità di quest’ultimo sisma. “Le autorità turche – evidenzia Comelli – lo hanno dichiarato come il più forte, la più grossa tragedia legata ai terremoti. Loro hanno una suscettibilità importante a questi eventi, per la posizione geografica in cui si trovano”.  

Cosa aspetterà Comelli e il Team Usar lombardo? “Noi abbiamo quattro sanitari, due medici, due infermieri e due tecnici che si occupano della logistica sanitaria – elenca – quindi sono di fatto quelli che mettono in condizione il team operativi di lavorare. Ciascuno ha una squadra di vigili del fuoco che lavora su un cantiere. La rotazione su ogni cantiere avviene lungo tutte le 24 ore, tendenzialmente con due turni da 12 ore. Siamo quindi una squadra mista. Quando localizziamo una vittima si scava all’interno delle macerie, si crea un tragitto fino a lei e noi arriviamo, se è possibile, per eseguire le manovre di stabilizzazione. Poi la si estrae. E’ un lavoro complesso, difficile, che richiede un addestramento adeguato. Noi sanitari siamo formati per entrare nelle macerie, arriviamo quasi fino a dove arrivano i vigili. La parte più bella di questa attività è ovviamente quando si riesce a identificare qualcuno ancora in vita”. 

E allora, continua Comelli, “comincia tutto il frenetico lavoro di avvicinamento, stabilizzazione, recupero. Per noi è molto gratificante riuscire a lavorare in squadra con i vigili del fuoco e, a quanto ci dicono loro, questa sensazione è ricambiata. Abbiamo imparato negli anni e ora c’è una forte sintonia. Ecco perché fra noi ci chiamiamo, scherzando, fratelli di polvere. Noi, oltre all’assistenza delle vittime, ovviamente ci occupiamo dell’assistenza del team in un dispiegamento di questo tipo. Diventiamo ambulatorio, pronto soccorso, farmacia all’occorrenza. E’ l’altra fetta importante della nostra missione. I ricordi più belli che mi porto dietro? Quando una missione finisce. Perché finalmente possiamo davvero dire: ok, abbiamo fatto del nostro meglio”.