(Adnkronos) –
Da Londra all’Università Campus Bio-medico di Roma per sviluppare a 360 gradi le possibilità dell’ingegneria biomedica con progetti internazionali. Leandro Pecchia, presidente della Società europea di ingegneria biomedica, dopo anni passati in tre università del Regno unito torna in Italia con ruoli da consulente Oms per le tecnologie per il Covid-19 e professore ordinario all’Università Campus Bio-Medico di Roma. Pecchia ha alle spalle lo sviluppo di progetti in grado di trovare soluzioni a basso prezzo nei paesi più poveri, in Africa ad esempio, per rendere disponibili nelle condizioni difficili dei paesi del terzo mondo tanti dispositivi medici. Pecchia è tra i relatori dell’evento ‘Ingegneria biomedica per la salute globale e per lo sviluppo sostenibile’, oggi in occasione della presentazione della sua cattedra al Campus Bio-Medico di Roma, finanziata da Intesa Sanpaolo.  

“In Africa si hanno tante sfide che si possono affrontare grazie ai vantaggi della tecnologia – spiega Pecchia all’Adnkronos Salute – Nei paesi del terzo mondo ci sono, negli ospedali e nelle strutture mediche, standard diversi rispetto a quelli occidentali, questo crea diversi problemi ai dispositivi medici che invece sono progettati per paesi molto sviluppati e con alti standard. Quindi aggiunge – è chiaro che non si può prendere una macchina e pensare che possa funzionare senza problemi in un ospedale africano. Per questo devo usare la tecnologia per modificarla”.  

“Poi – prosegue – c’è anche un problema di personale qualificato per usarli, un dispositivo per l’anestesia può lavorare se c’è chi lo sa usare e con certe condizioni. L’ultimo problema che si può avere nella gestione di un dispositivo medico in condizioni ‘estreme’ è quello della manutenzione e dei pezzi di ricambio: in Africa è difficile averli in tempi brevi o non arrivano proprio. Non puoi usare una macchina da Formula 1 nel Sahara – rimarca – ma puoi usare l’intelligenza artificiale per creare le condizioni affinché questi dispositivi rendano al meglio in quelle condizioni”.  

Quando si lavora al miglioramento degli ospedali in Africa, “uno dei problemi è quello dell’approvigionamento dei pezzi di ricambio – ricorda Pecchia – Per sopperire a questo limite abbiamo aiutato lo sviluppo di un progetto per far sì che sul posto si sviluppasse una filiera in grado di produrre alcuni pezzi”. Le soluzioni che Pecchia ha trovato permettono di dire che è possibile fornire procedure, macchinari e sistemi biomedici anche in Paesi svantaggiati nei quali la ‘supply chain’ o catena di approvigionamento non funziona bene. “In Benin – racconta il presidente della Società europea di ingegneria biomedica – abbiamo trovato come soluzione una stampante 3D a carboni attivi che poteva stampare i filtri per l’ossigeno che qui da noi puoi farti arrivare in 24 ore. Grazie a questa macchina abbiamo messo in piedi una cooperativa locale che può farne un business con un occhio di riguardo anche al riciclo delle plastiche”.  

Ma questo modello di sinergia che vede tecnologia, innovazione e dispositivi medici alleati per migliorare la qualità dell’assistenza con un occhio anche ai costi, è applicabile anche in Italia? “Ci sono aree del Sud del Paese dove è più difficile portare servizi, penso anche alle isole e alle comunità montane – risponde – Con il Campus Bio-medico abbiamo vinto un progetto di intelligenza artificiale per supportare i pediatri di base in Campania per lo screening di patologie rare dell’occhio. Sappiamo che servono anche 5 anni per avere un diagnosi certa, ora aiuteremo gli specialisti con questo lavoro con l’Ai, per poi andare a sperimentare anche un nuovo farmaco che a breve dovrebbe avere il via libera”.  

Lo sviluppo delle applicazioni pratiche dell’intelligenza artificiale non finisce qui. “Ad esempio – evidenzia – stiamo lavorando a un impiego per l’identificazione della polmonite infantile, un modello di intelligenza artificiale che può discriminare l’origine virale o batterica. Ma abbiamo anche sviluppato una ‘App’ in grado di intercettare il rischio di problemi ai nervi legati al diabete”. Infine, il ritorno di Pecchia in Italia punta anche a formare giovani ingegneri biomedicali: “Oggi serve uno sviluppo sostenibile anche in sanità – chiosa – per farlo occorrono competenze tecniche ma anche di economia sanitaria, e questo è anche il mio segreto, io ho un dottorato in economia sanitaria che mi ha permesso di affrontare ogni tipo di sfida ragionando anche sull’aspetto del management sanitario”.