Si sono visti annullare o rinviare visite specialistiche, esami e cicli di riabilitazione, interventi chirurgici. Durante il lockdown, la sospensione delle attività riabilitative e di ricovero ‘non urgenti’ al fine di ridurre l’accesso in ospedali e ambulatori – quindi il rischio di contagio del virus Sars-CoV-2 – in Italia ha rappresentato per molti dei 24 milioni di malati cronici, 12,5 milioni afflitti da multicronicità (dati Report Osservasalute) un problema particolarmente serio, cui si è ovviato – laddove possibile – con la ‘medicina a distanza’: consulenze telefoniche, ma anche vere e proprie visite.  

Nonostante la diffidenza e la scarsa conoscenza dei nuovi strumenti, tra febbraio e giugno 2020, il 40% dei pazienti afflitti da malattie reumatiche ha contattato il proprio medico attraverso la tecnologia. Questo il tema al centro del primo appuntamento in diretta video, Talks per la Salute, dal titolo “Covid e telemedicina: la telemedicina può aiutare i pazienti cronici?” promosso da Alleati per la Salute, il nuovo portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis.  

Il teleconsulto e la telemedicina sono la risposta giusta? Le problematiche che si sono riscontrate sono ovviabili perché legate alla mancanza di formazione? Queste e altre domande sono state protagoniste dell’incontro (visibile sul sito www.alleatiperlasalute.it) al quale hanno preso parte Antonella Celano, presidente dell’Associazione Pazienti Malattie Reumatologiche Rare (Apmarr), Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna e lo psicologo Luca Mazzucchelli, che si sono confrontati sull’impatto che il Covid-19 sta avendo sui pazienti cronici .  

Nel periodo compreso tra febbraio e giugno 2020, su 1.130 pazienti: 438 hanno interagito con il proprio medico con una telefonata, 429 lo hanno fatto con messaggi, 10 hanno utilizzato sistemi di telemedicina personalizzati e 6 hanno contatto il medico con una videochiamata: questa la fotografia scattata dall’Apmarr e dall’Associazione Malati Reumatici (Anmar).  

“Sono dati che vanno letti in chiave positiva – afferma lo psicologo Luca Mazzucchelli -. Ci dicono che la tecnologia aiuta ad accorciare le distanze geografiche. Certo, non sono mancate diffidenza e impreparazione, e sono il primo a dire che si può fare di più. Mi chiedo, però, come avremmo fatto ad offrire continuità ai nostri pazienti senza questi strumenti”. “Durante la pandemia ci siamo ritrovati assolutamente impreparati a qualunque soluzione diversa da quelle tradizionali a cui eravamo abituati – sottolinea Antonella celano, presidente di Apmarr -. Abbiamo avuto un’interruzione di tutti i servizi sanitari destinati alle persone affette da patologie croniche, rare o oncologiche che non potevano accedere negli ospedali, nei centri di cura, negli ambulatori dei medici di medicina generale. Per non far sentire soli i pazienti abbiamo utilizzato mezzi alternativi non convenzionali come la messaggistica istantanea: messanger, whatsapp, telegram”.  

Sebbene la gran parte degli italiani sia abituata ad usare le tecnologie, non sono mancati i problemi. “Abbiamo riscontrato una certa diffidenza nell’adoperare questi strumenti – conferma Celano -. Le persone pubblicano sui social il loro vissuto personale ma quando si parla di telemedicina , teleconsulto o teleriabilitazione si preoccupano della privacy. Possiamo dirci soddisfatti perché i nostri pazienti, nonostante le difficoltà e la mancanza di alfabetizzazione digitale, sono riusciti ad utilizzare la tecnologia e gli operatori sanitari hanno fatto altrettanto per venire incontro alle necessità delle persone”.  

Durante il dibattito online è emerso anche che il 33,9% dei pazienti cronici ha riscontrato problemi nella comunicazione (ascolto, comprensione, empatia) con il proprio medico di medicina generale (contro il 66,1%) mentre appena il 5,8% dà una valutazione negativa del Fascicolo sanitario elettronico (contro il 94,2% ). “Sarebbe opportuno – ha aggiunto Celano – utilizzare strumenti validati per la telemedicina che possano garantire la privacy. Anche via whatsapp, skype o videochiamata abbiamo ricevuto referti, prescrizioni. Una visita o un consulto attraverso la telemedicina costa quasi come una prestazione in presenza pur non utilizzando gli stessi mezzi. Potrebbe abbattere liste d’attesa, eliminare le disuguaglianze nelle regioni ma c’è bisogno di aggiornare le linee guide del 2009, approvate nel 2012 e ormai troppo vecchie”.  

C’è un altro dato che mette in allarme la presidente di Apmarr : “Per quanto riguarda la reumatologia, sempre nei primi sei mesi della pandemia abbiamo registrato un 40% di diagnosi precoci in meno. Sono tante. Anche in questo caso, però, la tecnologia ha aiutato le persone a riorganizzarsi e a poter consultare il medico in maniera alternativa, da remoto”.  

Preoccupazione condivisa da Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna (che raggruppa circa 160 associazioni di pazienti oncologici su tutto il territorio nazionale): “In Italia l’80% delle donne in media fa prevenzione – ricorda – Tuttavia in questi mesi abbiamo registrato un forte rallentamento per quanto riguarda la diagnosi precoce. Lo dicono i dati dell’Osservatorio nazionale screening sull’impatto del Covid sugli screening oncologici 2020. Tra gennaio e settembre 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, le donne invitate/contattate sono state 947.322 in meno (pari a -34,5%); le mammografie non effettuate sono state 610.803 (- 43,5%); il ritardo accumulato è pari a 3,9 mesi e si stima che il numero di tumori mammari non diagnosticati siano 2.793″.  

“Inevitabilmente – prosegue – questa drastica riduzione di prestazioni sanitarie imposta dall’emergenza sanitaria ci ha fatto accelerare la connessione interna. Nel 2020 abbiamo attivato delle reti telematiche fra Europa Donna e le sue associate delle regioni. Obiettivo: studiare le mosse da intraprendere per invertire la tendenza. Per prima cosa ci siamo alleati con le società scientifiche, in particolare di radiologia, e con le altre associazioni in sostegno delle pazienti, per confrontarci su dati che preoccupano non poco. E con questi numeri – riferisce – siamo andati dal ministro della Salute Roberto Speranza al quale abbiamo presentato anche delle proposte. Tra le quali: raddoppiare i turni dei radiologi, potenziare il personale addetto alla radiologia. Abbiamo trovato ascolto e disponibilità a collaborare ma, in piena pandemia, sappiamo che non sarà facile trovare delle soluzioni immediate sulla telemedicina è uno strumento importantissimo a patto che serva ad avvicinare davvero il medico al paziente anziché allontanarlo”. 

Ma se la pandemia di Covid-19 ha fatto emergere più chiaramente la scarsa cultura e conoscenza della telemedicina in Italia, durante il lockdown i malati cronici hanno avuto problemi con l’assunzione e il reperimento dei farmaci. “Problemi che grazie alla ricetta dematerializzata è stato possibile risolvere – spiega Celano -: le persone non dovevano recarsi più dal proprio medico di medicina generale poiché potevano avere la ricetta direttamente sul Fascicolo sanitario elettronico, quindi in farmacia, sebbene ci sia ancora chi non rinunci a stampare la ricetta de materializzata prima di andare in farmacia. Come Apmarr abbiamo lavorato molto per il sostegno psicologico online, attivando il teleconsulto. Ad un numero verde i nostri reumatologi rispondono 4 giorni su 7. Inoltre, da mesi diamo ai pazienti risposte attraverso il sito e con messaggi istantanei. Ben venga la digital health, ora però dobbiamo fare tesoro di quanto abbiamo imparato dal lavoro online”.  

Dal punto di vista psicologico il paziente cronico come sta vivendo questo momento in cui i suoi riferimenti vengono meno e suoi appuntamenti rimandati? “La strada è in salita – ammette lo psicologo – è stato un anno complesso e lo è stato in particolare per i malati cronici. Tutti quanti hanno dovuto affrontare un carico emotivo ingombrante legato al Covid, all’isolamento e al cambiamento delle abitudini, ma questi pazienti hanno dovuto affrontare due ulteriori sfide: la prima riguarda i contatti con i medici e gli specialisti, diminuiti o diradati, e le visite ed esami cancellati o rimandati”.  

“Tutto ciò – prosegue – ha avuto ed ha un impatto anche dal punto di vista psicologico sul paziente cronico perché percepisce un maggior rischio connesso alla propria condizione. E quindi in queste persone aumentano ansia, stress, incertezza. A volte provano anche un senso di abbandono che si traduce in una maggiore difficoltà nell’aderire alla terapia. Sappiamo che sentirsi, invece, presi in carico permette al paziente di rispettare al meglio la terapia. La seconda sfida per i pazienti cronici è il distanziamento sociale che ha portato complessivamente ad un impoverimento delle reti di supporto, quindi molti pazienti si sono trovati a non poter entrare in contatto con familiari, parenti, amici. Insomma, con la dimensione dei caregiver. Risultato? Aumento dei disturbi legati alla solitudine oltre alla mancanza di supporto sia emotivo che concreto che spesso è necessario per gestire la patologia cronica”. Mazzucchelli non ha dubbi: “Siamo degli animali relazionali, senza l’altro la vita perde di significato e nella gestione della cronicità il supporto sociale da parte del paziente è uno dei principali fattori protettivi. Quindi – conclude – evitiamo i contatti ma non rinunciamo alle relazioni. In questo i nuovi strumenti digitali ci possono essere di grande aiuto. Ma la tecnologia dovrà sempre di più integrarsi con la pratica clinica, non potrà mai sostituire la visita in presenza”.