In principio furono le delocalizzazioni. Anche nel mondo farmaceutico. Percepite come un vantaggio sia in Italia che in Europa, gli esperti analizzano gli esiti di questo fenomeno: dopo essersi impoverita per decenni delle lavorazioni primarie a basso valore aggiunto lasciate ai Paesi emergenti, per concentrarsi sugli anelli finali più ricchi di marginalità, l’Ue è costretta a correre ai ripari a fronte di situazioni limite di quasi scarsità. E oggi si parla tanto di ‘reshoring’, rilocalizzazione. Una ‘forza’ inversa alla prima. Ma “c’è reshoring e reshoring”. E per far sì che funzioni serve una strategia. E’ il tema che è stato affrontato dall’edizione 2021 dell”Osservatorio sul sistema dei farmaci generici’, realizzato dalla Società di studi economici Nomisma per Egualia (già Assogenerici), e presentato oggi a Roma, con la partecipazione fra gli altri di Giovanni Tria, consigliere del ministro dello Sviluppo economico.  

Sulle più rosee prospettive di crescita, fanno presente gli esperti, pesa come un macigno la carenza di materie prime e i colli di bottiglia nelle catene del valore, che coinvolgono tutti i comparti produttivi. “Il controllo delle nuove materie prime e delle produzioni primarie da parte dei Paesi asiatici è diventato ormai un’arma di competizione letale – ha spiegato Lucio Poma, chief economist di Nomisma e coordinatore scientifico dello studio – Per questo uno degli obiettivi primari della nuova Pharmaceutical Strategy europea punta a diversificare le catene di produzione e di approvvigionamento, promuovendo gli investimenti produttivi all’interno dell’Unione”.  

Nel breve termine, sottolinea l’analisi Nomisma, le strategie per ridurre i colli di bottiglia in tema di principi attivi e materie prime farmaceutiche sono principalmente due: moltiplicare le fonti di approvvigionamento – operazione difficile vista la concentrazione geografica dei fornitori nei Paesi asiatici – oppure, soluzione più radicale e strutturale, internalizzare alcune fasi della catena fino al raggiungimento di un livello accettabile di autosufficienza strategica.  

“I prezzi dei principi attivi variano da pochi euro al chilo a migliaia di volte quel valore – ha osservato Poma – Se il principio attivo ha un valore molto elevato sarà possibile produrlo, in regime di completa concorrenza, anche in Italia; per i principi attivi di scarso valore unitario il discorso è diverso. Le dimensioni minime efficienti sono enormi, come importante è l’asimmetria tra Asia e Ue sui costi del lavoro. Senza aiuti di stato all’impresa o meccanismi di controllo della domanda, assieme a politiche di acquisto più sostenibili nel tempo, difficilmente potrà nascere una impresa di dimensioni tali da poter competere contro i colossi asiatici”.  

Le soluzioni prospettate dallo studio rappresentano la sintesi di quanto emerso nelle interviste a imprese con interessi e organizzazioni differenti (sola produzione, distributrici, con business misto), alcune di proprietà italiana, altre multinazionali con sede in Europa, Stati Uniti, India e Israele ma con siti produttivi o commerciali in Italia. “Serve un’azione nazionale ed europea indifferibile e radicale – argomenta Nomisma -. Una proposta concreta è quella di estendere la durata del Temporary Framework sugli aiuti di Stato, concesso per la lotta alla pandemia, ben oltre l’attuale limite, per disporre di un lasso temporale adeguato all’implementazione di azioni strutturali di medio termine, estendendo anche le scadenze previste per il completamento dei progetti, prevedendo almeno 3-5 anni, e rimuovendo il limite degli aiuti, oggi erogabili solo per i prodotti rilevanti per il Covid”.  

Ancora più impegnativa la ‘cura’ per incentivare il reshoring per la produzione in Italia di principi attivi farmaceutici scaduti di brevetto: “Per avviare un polo competitivo europeo bisogna agire sia sull’offerta che sulla domanda: servono aiuti diretti alle imprese, anche in forma di sovvenzione in fase d’avvio, per colmare il gap tra costi di produzione e bassi prezzi internazionali – spiega Nomisma – e va orientata parte della domanda pubblica sui farmaci che utilizzano i principi attivi prodotti nell’Ue.  

La carenza delle materie prime, continua l’analisi degli esperti, “sarà il nodo fondamentale dei sistemi produttivi mondiali almeno per il prossimo quinquennio. E ogni mese che scorre espone le nostre linee produttive a un rischio crescente di fermo impianti”.  

Tema del secondo focus sviluppato dall’osservatorio Nomisma le gare pubbliche ospedaliere, un nodo che porta in primo piano anche la questione spinosa della stima dei fabbisogni. “Il tema del calcolo impreciso dei fabbisogni riguarda in media l’intero ambito nazionale – riferisce lo studio – Nella maggior parte dei casi la stima viene effettuata sulla base dello storico degli anni precedenti, spesso ricostruito a partire da flussi informativi sui consumi poco strutturati a livello di rete”. ll disallineamento rispetto agli ordinativi effettivamente avanzati si traduce in danni per le imprese (costi organizzativi, di stoccaggio, riduzione della capacità di risposta rapida alla domanda, eccetera) disincentivando la partecipazione alle gare, fenomeno reso già grave dalle gare basate sul solo ribasso di prezzo, che ad alcuni anni dalla scadenza del brevetto conducono a un progressivo assottigliamento della concorrenza (minore partecipazione e aumento dei lotti andati deserti). 

Le soluzioni proposte? Meno discrezionalità delle stazioni appaltanti, più uniformità dei procedimenti, sburocratizzazione e diminuzione degli oneri per le imprese. Le strategie operative suggerite vanno dal creare un algoritmo previsionale a livello nazionale, personalizzabile dalle diverse regioni, in grado di sistematizzare i dati di consumo con i profili epidemiologici, attuali e prospettici della popolazione alla realizzazione di accordi quadro che permettano la compartecipazione di più imprese per l’aggiudicazione delle forniture. E ancora si propone di prevedere l’obbligatorietà di riaprire il confronto competitivo tra le imprese all’ingresso del primo equivalente sul mercato (come accade sui biosimilari), e, per esempio, di fissare un tetto minimo oltre il quale l’ente appaltante non può scendere nella richiesta di ordinativo effettivo all’impresa. Sono nodi che vanno affrontati, concludono gli esperti, visti i dati del settore: il 75% degli equivalenti consumati a livello globale è prodotto in Europa; con Germania e Italia che si confermano come maggiori Paesi produttori di equivalenti (le imprese associate ad Egualia registrano un impatto complessivo, tra effetto diretto, indiretto e indotto, pari a circa 8 miliardi di euro in valore produzione e oltre 39 mila occupati).