(Adnkronos) – “L’eliminazione dell’epatite C è un tema che interessa tanto, soprattutto perché è un obiettivo proposto dall’Oms per il 2030. Per questo motivo ultimamente si sta cercando di decentralizzare l’assistenza al di fuori degli ospedali. Numerose finora le attività intraprese: dalla presenza di screening rapidi per la determinazione dell’infezione da Hcv alla presa in carico dei pazienti da parte dei medici infettivologi all’interno dei Serd, i servizi per le dipendenze patologiche”. Così Ivana Maida, professore associato di Malattie infettive dell’azienda ospedaliera universitaria di Sassari, all’Adnkronos Salute fa il punto sul’importanza dell’assistenza decentralizzata presso i centri di cura per l’epatite C per i pazienti tossicodipendenti attivi e sulle attività in corso in vista dell’eliminazione dell’Hcv in questa popolazione, come richiesto appunto dall’Organizzazione mondiale della sanità entro il 2030.  

“Sono numerosi i report che provengono dall’ultimo Congresso europeo sulle malattie del fegato (Easl 2022) – sottolinea Maida – che dimostrano quanto sia fondamentale una rapida presa in carico del paziente con epatite C, facilitando le terapie con regimi a 8 settimane che garantiscano, soprattutto al di fuori degli ospedali, una migliore assistenza per coloro che hanno l’infezione e sono anche tossicodipendenti attivi”. E proprio i pazienti tossicodipendenti con cirrosi compensata, “durante la pandemia e a causa dei vari lockdown, hanno interrotto i percorsi di diagnosi e terapia – evidenzia l’infettivologa – Quindi preferiscono regimi di trattamento breve, a 8 settimane, proprio all’interno dei Serd, per poter facilitare la gestione dei pazienti e il follow-up. Tra l’altro con questa terapia c’è anche un minore utilizzo delle risorse nelle strutture ospedaliere o dei centri per le dipendenze, oltre ai costi ridotti per le casse del Servizio sanitario nazionale”. 

In merito ai piani dell’eliminazione dell’Hcv, la situazione a livello nazionale e regionale ha luci e ombre, secondo Maida. “In Italia sappiamo che circa 500mila persone possono essere affette da epatite C – ricorda l’esperta – ma non sono a conoscenza della loro positività. Quindi si arriva tardi alla diagnosi e, di conseguenza, al trattamento. Per questo motivo, nella legge finanziaria è stato proposto a livello nazionale di poter effettuare screening gratuiti ai cittadini nati tra il 1969 e il 1989. Purtroppo la Sardegna, insieme ad altre Regioni, non attinge ai fondi innovativi per cui abbiamo grosse difficoltà. Fortunatamente è stato proposto un emendamento di legge nell’ultima finanziaria regionale che prevedrebbe l’utilizzo di 3 milioni di euro (1 mln per il 2022, 1 mln per il 2023 e 1 mln per il 2024), da destinare ai test di screening della popolazione nella fascia di età compresa tra i 33 e i 53 anni”.  

Nelle attività intraprese dalla Regione Sardegna per facilitare il raggiungimento dell’obiettivo proposto dall’Oms, “grazie a un protocollo di collaborazione tra università degli Studi di Sassari e il territorio è stata proposta la presenza di un medico infettivologo all’interno del Serd. Per cui i nostri medici specializzandi frequentano attivamente queste strutture dove effettuano i test di screening e di reclutamento dei pazienti, per poi procedere con la prescrizione delle terapie antivirali sotto la nostra supervisione”.