“In Italia il 30% dei medici di medicina generale ha scambiato informazioni attraverso canali digitali con strutture sanitarie o altri medici (media europea 43%, Danimarca 98%, Svezia 81%); il 32% ha emesso ricette digitali (media europea 50%, Svezia 100%, Finlandia e Danimarca oltre il 90%). Inoltre, il nostro Paese è al 20° posto per quattro categorie prese in esame: uso di Internet nel settore sanitario, sviluppo delle infrastrutture, competenze digitali, consapevolezza della sicurezza e della privacy; mentre è al 26mo posto in Ue nella classifica Desi (Indice della digitalizzazione dell’economia e della società) 2020, prima solo di Bulgaria e Romania, Dunque, non brilliamo, anzi”. A scattare un’istantanea sullo stato dell’arte della salute digitale in Italia è Tonino Aceti, presidente di Salutequità, durante il suo intervento al webinar “Salute Digitale. L’innovazione nella cura delle malattie croniche autoimmuni reumatologiche e dermatologiche”, promosso da Ucb Italia. 

“Anche in questo ambito – continua Aceti – riscontriamo una disuguaglianza nell’utilizzo e nell’accesso alle tecnologie digitali per interagire con la pubblica amministrazione da una regione all’altra. Il digital divide regionale vede numeri differenti, a seconda delle zone d’Italia, come si evince dal rapporto della Corte dei Conti “Referto al Parlamento sullo stato di attuazione del Piano Triennale per l’Informatica 2017- 2019 negli enti territoriali”.  

Le migliori performance si registrano al Nord: Nord-Est (27%); Nord-Ovest (26%); Centro (26%); Sud e Isole (18%); Basilicata (17%), Calabria (17%), Sicilia (15%); Province autonome di Trento (32%) e Bolzano (29%). Come se non bastasse, sempre secondo la classifica Desi 2019, l’Italia si piazza in tredicesima posizione per lo scambio di dati tra medici di medicina generale, mentre per l’uso di ricette digitale siamo al 20esimo posto. Dunque, siamo molto lontani dalla media europea per lo scambio di informazioni (43%) e l’utilizzo delle ricette digitali (50%)”. 

Non va meglio sul fronte della spesa per la sanità digitale. “Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, noi spendiamo 1,5 miliardi – ricorda il presidente di Salutequità – pari all’ 1,2% della spesa sanitaria complessiva. Ma potremmo fare molto di più. Sempre secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, si possono risparmiare fino a 66 milioni di ore per spostamenti evitabili”.  

“Abbiamo poi – prosegue Aceti – il Pnrr che stanzia 1 miliardo di euro per la telemedicina – tele-assistenza, tele-consulto, tele-monitoraggio e tele-refertazione – per supportare al meglio i pazienti con malattie croniche. Per ottenere i finanziamenti, però, va garantita l’integrazione con il Fascicolo sanitario elettronico (Fse) e l’effettiva armonizzazione dei servizi sanitari. Ci sono poi 1,45 miliardi per la digitalizzazione dei Dea di primo e secondo livello, 1,38 miliardi per il potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico, e 290 milioni per il modello predittivo per garantire i Lea italiani e la sorveglianza e vigilanza sanitari”. 

Le esperienze di telemedicina sul territorio, nell’anno 2018, “secondo i dati del Ministero della Salute sono state 282. In testa regioni come Emilia-Romagna (36), Lombardia (35), Toscana e Sicilia (31), fanalino di coda, invece, Molise (1) e Basilicata (1). Il target delle 282 esperienze di telemedicina – conclude Aceti – vede ai primi posti cardiologia (43%), radiologia (19%) e pneumologia (14). Le modalità più diffuse sono state il teleconsulto, il telemonitoraggio e la telerefertazione”.