Il viaggio della campagna “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!” (www.manteniamociinformate.it) fa tappa nel Lazio, dove ogni anno si stimano circa 700 nuovi casi di tumore ovarico e sono almeno 4.000 le donne che convivono con la malattia. La campagna, promossa da Fondazione Aiom, insieme ad Acto Onlus, Loto Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra, e sponsorizzata in esclusiva da Gsk, anche nella sua seconda edizione si pone l’obiettivo di promuovere l’informazione sul tumore ovarico mettendo in luce le esigenze delle pazienti e mantenendo alta l’attenzione sulla diagnosi precoce, sulle innovazioni terapeutiche che stanno migliorando sopravvivenza e qualità di vita e sull’importanza dell’aderenza alle terapie. Lo fa attraverso eventi territoriali online dedicati alle donne dove gli specialisti rispondono alle domande più frequenti e rilevanti delle pazienti. 

Informazione, diagnosi tardiva, familiarità, terapie, aderenza e qualità di vita sono stati i temi dell’evento online odierno di Roma, tenutosi sulla pagina Facebook della campagna, dove ginecologi, oncologi, ricercatori e psicologi hanno risposto alle domande e ai dubbi delle donne e delle pazienti laziali. “La campagna è stata fortemente voluta da Fondazione Aiom insieme alle associazioni pazienti – afferma Stefania Gori, presidente Fondazione Aiom e direttore Dipartimento oncologico Irccs Sacro Cuore Don Calabri, Negrar – e l’iniziativa nasce dalla necessità che le donne siano informate su questa malattia, insidiosa e nella quale non è possibile fare una diagnosi precoce con uno screening, e sappiano quali sono i centri specialistici di riferimento per curarla”. 

Nel Lazio, è il Centro di eccellenza Policlinico A. Gemelli Irccs di Roma il punto di riferimento per le donne affette da tumore ovarico. “Come Policlinico Gemelli – dichiara Marco Elefanti, Direttore generale del polilinico romano – considerando il volume di attività portato avanti dal centro diretto da Giovanni Scambia per la diagnosi e la cura sotto varie forme del tumore ovarico, siamo evidentemente e fortemente orientati ad accogliere tutte le azioni e le iniziative che possono creare sensibilità verso questa grave patologia e, quindi, a promuovere nella popolazione e tra le donne un atteggiamento preventivo al tema”.  

“Il Policlinico Gemelli – prosegue Elefanti – è fortemente impegnato da anni nel trattamento delle patologie femminili in generale, in particolare del tumore ovarico per il quale abbiamo volumi che non hanno eguali nel Centro-Sud del Paese. Su questo tema gravitano una molteplicità di interessi a cominciare dalla ricerca, attivissima, dall’assistenza che i nostri clinici migliorano continuamente e dalle implicazioni didattico-formative, intese come trasferimento di conoscenze ai giovani medici che ciò comporta. Dunque, la campagna ‘Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!’ ci trova naturalmente schierati. Riteniamo che l’informazione e tutto ciò che è creazione di consapevolezza dei possibili rischi e delle azioni che si possono mettere in campo per ridurli, sia un ausilio fondamentale. Creare consapevolezza a monte è decisivo”, conclude. 

L’informazione su questa neoplasia è fondamentale, anche perché al momento la clinica non dispone di screening sensibili e specifici per il tumore dell’ovaio e perché lo scenario oggi è in evoluzione e una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le donne di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo chemioterapia e che si sono dimostrate efficaci su questa neoplasia. 

“L’informazione è uno strumento che salva la vita – afferma Domenica Lorusso, professore associato di Ostetricia e Ginecologia, responsabile Uos Programmazione Ricerca cinica Fondazione Policlinico A. Gemelli Irccs di Roma e Referente Fondazione Aiom – diffondere cultura su questa patologia e suggerire quali possono essere i segnali da tenere in considerazione, seppur aspecifici, può fare la differenza. Inoltre, sapere che esistono in ogni Regione Centri di riferimento come il nostro, specializzati nella cura e nella diagnosi di questo grave tumore e far sapere alle donne che il primo passo da fare dopo una diagnosi è rivolgersi subito al Centro, è cruciale, perché sbagliare il primo approccio può essere fatale in questi casi. L’informazione è importante anche per i continui aggiornamenti sulle terapie”.  

“Nell’ultimo decennio, grazie alla biologia molecolare – prosegue Lorusso – che ci ha dato la possibilità di riclassificare questa malattia in diversi tipi di tumore ovarico, la ricerca ha sviluppato trattamenti specifici, personalizzati e targettizzati come i Parp inibitori, farmaci orali da utilizzare in fase di mantenimento dopo la chemioterapia. Si tratta di farmaci ben tollerati seppure dotati di una certa tossicità i cui effetti collaterali sono ben conosciuti e facilmente gestibili, prescritti in ospedale e attentamente monitorati, assunti a casa anche di sera e che consentono il normale svolgimento della propria quotidianità. I Parp inibitori hanno aumentato in modo significativo la possibilità di prolungare il tempo libero da progressione di malattia nelle donne con mutazione Brca e nuovi studi hanno dimostrato che possono essere utilizzati anche nelle pazienti senza mutazione Brca, che fino a poco tempo fa avevano limitate alternative terapeutiche”.  

“Purtroppo al momento attuale la diagnosi precoce del tumore ovarico non si può fare, è un’utopia ed è anche il motivo per cui la maggior parte dei tumori ovarici viene scoperto tardivamente – dice Giovanni Scambia, Direttore Uoc di Ginecologia oncologica, professore Ordinario Istituto di Clinica Ostetrica e Ginecologica, Direttore Scientifico Scienza e Ricerca, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma – è importante, invece, che la donna si sottoponga annualmente alla visita ginecologica che deve essere sempre seguita da un’ecografia pelvica transvaginale che può identificare un’eventuale patologia ovarica o uterina. Tuttavia, abbiamo qualche arma, in primo luogo studiare l’eventuale familiarità delle donne, la storia delle famiglie e se si hanno casi in famiglia di tumore ovarico o della mammella o di tumore in genere, attenzionarle in maniera più serrata perché l’unica prevenzione possibile è proprio identificare le famiglie a rischio e lavorare su quelle, intercettando almeno un buon 20% di tumori ovarici”.  

Il test genetico, in caso di familiarità al tumore ovarico, è uno strumento preventivo importante. “Il test genetico Brca si fa con lo scopo di vedere se due geni, che si chiamano Brca1 e Brca2, sono mutati o no, cioè se presentano alterazioni del codice genetico rispetto alla forma normale – spiega Gennaro Daniele, Direttore UC Fase I, Direttore Scientifico Clinical Trial Center e Coordinatore Programma Fase I, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma – questo ci consente di capire se le due proteine che sono prodotte a partire da questi due geni sono funzionanti oppure no. È un test molto importante, perché si è scoperto che le mutazioni a carico di questi due geni predispongono all’insorgenza di alcuni tumori, tra cui quello mammario e ovarico”.  

Dopo il trattamento si pone la preoccupazione delle pazienti per il follow-up. “Un tema molto dibattuto è proprio quello che riguarda il follow-up delle pazienti libere da malattia dopo 5 anni dalla diagnosi – dice Anna Fagotti, Direttore Uoc Carcinoma Ovarico, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma – numerose sono le Linee guida internazionali ma c’è poco consenso della comunità scientifica”. “Molto dipende nella programmazione del follow-up dallo stadio di partenza della malattia, dal profilo molecolare del tumore che può essere associato a una mutazione Brca e, quindi, presentare un rischio per la paziente di sviluppare anche altri tumori. È uno scenario composito. Il tumore ovarico non è uno solo e oggi si avverte la necessità, legata alle nuove conoscenze, di personalizzare anche i controlli nel modo più flessibile possibile”.  

Sostenere la paziente psicologicamente è sempre fondamentale perché l’impatto del tumore ovarico sulla sua salute mentale può essere devastante. “Ricevere una diagnosi di tumore ovarico è drammatico ma la malattia non deve paralizzare la vita delle pazienti – sottolinea Daniela Chieffo, responsabile Uos di Psicologia Clinica, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma – è importante che non si verifichi una frattura emotiva ed affettiva tra la donna e il contesto relazionale che la circonda, in particolare con il partner, i figli e le persone più vicine. Bisogna favorire quanto più possibile la ripresa psicologica e aprire un dialogo con le persone più significative perché spesso accade che le pazienti per proteggere la famiglia si chiudano in sé stesse fino ad una vera e propria alienazione che è assolutamente negativa e a introiettare le proprie angosce e il dolore che si accompagna alla malattia e che non essendo più condivisi si amplificano a dismisura. La relazione con gli altri, il dialogo e la condivisione sono tappe fondamentali del processo di cura e guarigione”.