Uno studio internazionale coordinato dal gruppo di Arthur Butt dell’Università di Portsmouth (Gb), in collaborazione con l’università di Dusseldorf (Germania), l’università Statale di Milano e l’ateneo di Padova, ha permesso di ricostruire le cause dell’invecchiamento cerebrale identificando la mielina – la guaina che avvolge le ‘braccia’ dei neuroni – quale bersaglio primario delle alterazioni associate all’invecchiamento. Il lavoro, pubblicato su ‘Aging Cell’, apre a future ricerche sul ‘ringiovanimento’ delle cellule produttrici di mielina. Quindi del cervello che invecchia.  

“Nonostante nell’invecchiamento cerebrale si osservi una riduzione della memoria, della capacità di apprendimento e di reazione agli stimoli ambientali – spiega Maria Pia Abbracchio del Dipartimento di Scienze farmaceutiche di UniMi, coautrice dello studio – da anni si sa che nel cervello anziano il numero dei neuroni, le cellule specializzate nelle funzioni intellettuali e cognitive, non è molto diverso da quello che si osserva nel cervello giovane. Ciò che questa ricerca mette chiaramente in evidenza è che, nell’anziano, la funzionalità dei neuroni viene alterata a causa di una drastica diminuzione nel numero di oligodendrociti, le cellule specializzate nella produzione di mielina, la sostanza che riveste i prolungamenti nervosi permettendo la trasmissione degli impulsi elettrici e la comunicazione fra le varie parti del cervello e il mondo esterno. La riduzione degli oligodendrociti compromette la capacità di rimielinizzare le zone del cervello dove si verificano danni alla mielina, condizione comune a molte malattie neurodegenerative, in primis la sclerosi multipla”. 

Provare a ‘ringiovanire’ gli Opc, progenitori ‘simil-staminali’ degli oligodendrociti, potrebbe quindi rappresentare “una strategia vincente non soltanto per contrastare l’invecchiamento cerebrale – suggeriscono gli autori – ma anche per migliorare il decorso e favorire la rimielinizzazione nelle malattie neurodegenerative quali sclerosi multipla, ictus cerebrale e Alzheimer”. 

“Tramite una tecnica nota come Next Generation Rna Sequencing, che permette di sequenziare grandi genomi in un tempo ristretto, condotta in parallelo sul cervello di topi giovani e anziani e seguita da una complessa analisi di predizioni bioinformatiche – descrive Abbracchio – è stato possibile dimostrare che la diminuzione degli oligodendrociti è legata a un progressivo rallentamento di alcune funzioni base dei loro progenitori simil-staminali, gli Opc (oligodendrocyte precursor cells), molto proliferanti e reattivi in caso di danno, che hanno la caratteristica di rimanere vitali durante l’intera vita adulta, provvedendo così a riparare il cervello mantenendone la funzionalità”. 

“Studi di ‘fate mapping’ condotti in parallelo, che permettono di seguire nel tempo il destino finale degli Opc nel cervello – prosegue Davide Lecca, che ha collaborato all’analisi bioinformatica dello studio – hanno dimostrato che nell’anziano queste cellule mostrano profonde alterazioni del loro metabolismo, della durata del ciclo cellulare e soprattutto della loro capacità di maturare e quindi di produrre mielina. Il gene maggiormente alterato è risultato essere Gpr17, recettore identificato 15 anni fa nel nostro laboratorio e già implicato in diverse malattie neurodegenerative, inclusa la sclerosi multipla. In particolare, Gpr17 è espresso da una sottopopolazione di Opc dotata della capacità di reagire prontamente a insulti di vario tipo favorendo la rimielinizzazione necessaria al ripristino della funzione cerebrale. La perdita di Gpr17 riduce quindi la capacità degli Opc di interagire con l’ambiente circostante e con i neuroni e di rispondere in maniera plastica al danno, compromettendo le attività di connessione sinaptica alla base di processi cognitivi quali memoria e apprendimento”. 

Infine, tramite due distinti approcci di analisi farmacogenomica in silico – riferiscono dalla Statale meneghina – i ricercatori hanno anche identificato LY294002 (un inibitore della via di segnalazione intracellulare di mTor, coinvolta sia nella maturazione degli Opc che nella regolazione di Gpr17) come molecola potenzialmente in grado di revertire alcune delle alterazioni patologiche osservate negli Opc anziani. L’efficacia di questa molecola è stata confermata in un modello in vivo di degenerazione locale della mielina, dove LY294002 ha dimostrato una notevole capacità di rigenerare gli Opc e favorire la rimielinizzazione. 

Lo studio è stato finanziato, fra gli altri, dal Miur, dalla Fondazione italiana sclerosi multipla e dalla Multiple Sclerosis Society in Uk.